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REVIEWSLE RECENSIONI
13/06/2023
Empyre
Relentless
Passati sotto l'egida KScope, i britannici Empyre pubblicano una convincente seconda prova, in cui trovano perfetto connubio melodia, ritornelli uncinanti e graffio rock.

Quello dei britannici Empyre è un nome relativamente nuovo, e da noi, al momento, quasi del tutto sconosciuto. Henrik Steenholdt alla voce e alla chitarra, Did Coles alla chitarra solista, Grant Hockley al basso e Elliot Bale alla batteria rappresentano una realtà emergente, che ha già dimostrato il proprio potenziale con l’album di debutto Self Aware del 2019, un disco incensato dalla critica, e che ha permesso loro di firmare un contratto con la KScope, l’etichetta che annovera tra le sue fila artisti del calibro di Steven Wilson, Porcupine Tree e Tangerine Dream. Un sigillo di qualità, dunque, per una proposta musicale davvero fresca e accattivante, capace di fondere la complessità espositiva del prog, vibranti melodie da stadio e un mood malinconico che riempie ogni interstizio tra le note di una scaletta davvero ispirata.

Gli Empyre hanno registrato Relentless tra i blocchi della pandemia e durante il ciclo di pubblicazione del loro album precedente (The Other Side, una rivisitazione in acustico dell’esordio), utilizzando i Parlour Recording Studios, e affidando i compiti di missaggio a Chris Clancy (Machine Head, Those Damn Crows, Massive Wagons), il cui lavoro ha esaltato il suono oscuro, emotivo e grintoso di una band capace di trasmettere contemporaneamente dolcezza, intimismo, disperazione e rabbia.

L'album parte alla grande con la title track, un perfetto biglietto da visita del suono della band: pathos e malinconia declinate con accenti hard rock. Il riff abrasivo, la melodia immediata, il drumming potente e la voce ruvida di Henrik Steenholdt ne fanno un gran brano in odore di arena rock. La sensazione fin da subito potrebbe essere quella di trovarsi di fronte a una band fin troppo esplicita, che comunica attraverso melodie esposte, sovraccariche e melodrammatiche. Ma l’immediata percezione di una certa prevedibilità svanisce ben presto di fronte all’intelligenza con cui questi brani vengono plasmati. Il gancio furbetto, insomma, viene ripagato da autentico pathos e dall’abile variazione dei temi, anche all’interno della stessa canzone.

E che non sia una band monotematica, è evidente da una scaletta coesa ma decisamente eterogenea. "Walking Light" è un singolo davvero brillante, un tocco di elettronica, la potenza del rock in crescendo e una voce ispida a declinare una melodia emozionante e indicibilmente triste. Parasites inverte la rotta, è un brano cupo, cinematografico, che si sviluppa in modo più complesso, tra sali e scendi emotivi, che catturano fin dal primo ascolto. "Cry Wolf" inizia gonfia e melodrammatica, poi spinge sull’acceleratore fino ad aprirsi in un ritornello di grande suggestione.

Giocano sui cambi di velocità, gli Empyre, stop, start, ritornello, stasi, ripartenza, e anche se questo è uno dei leit motiv dell’album, non finiscono mai nella trappola della prevedibilità. Tante sono le frecce all’arco della band. "Hit And Run" è un ballatone malinconico, dal retrogusto clamorosamente anni ‘80 e dall’incredibile potenziale da stadio, singalong e accendini accesi nella notte (e che bell’assolo di chitarra!).  "Forget Me" mette in mostra ulteriormente il lato emotivo dell'album, è una ballata delicata, che parte acustica e si gonfia di rock, fino al deragliamento strumentale che chiude il brano con tanta elettricità.

"Silence is Screaming" torna a ringhiare con un andamento tumultuoso, in cui ancora una volta la carta vincente è lo stop and go, riff ruvidi e melodia struggente. E la sensazione è che il lavoro di produzione fatto dagli Empyre sia la linfa vitale che rende queste canzoni ancora più accattivanti, producendo colpi di scena senza soluzione di continuità. Così non stupisca l’approccio quasi heavy di "Road To Nowhere", in cui però il riff sferragliante è compensato da un gusto per la melodia unico, ancorchè scartavetrato dalla voce burbera e ispida di Henrik Steenholdt. "Quiet Commotion" è, con i suoi 6 minuti e 10 minuti, la traccia più lunga dell'album, e si sviluppa lentamente attraverso accordi bluesy e un mood atmosferico ed elegantemente malinconico, che ben anticipa la chiosa di "Your Whole Life Slows", un altro brano dall'atmosfera dolce imparentata con il blues.

Orecchiabile, ma mai banale, Relentless è il nuovo punto di partenza di una band che potrebbe diventare enorme. Qui c’è tanta carne al fuoco, ma la cottura è sempre perfetta, soprattutto nel calibrare le spezie mainstream con una materia prima di grande qualità rock. Date un assaggio, non ve ne pentirete.