Trovare dischi belli senza nemmeno una sbavatura è un’impresa impossibile. Anche Reeling, album con cui debuttano i The Mysterines da Liverpool, ha un paio di passaggi che non mi piacciono ed è per questo che ho pensato che sia meglio mettere subito le cose in chiaro, un po’ come quando si chiede “ho una notizia bella e una brutta, quale vuoi sentire per prima?” e la maggior parte delle persone preferisce iniziare con la cattiva, in modo che la parte positiva, lasciata alla fine, sia quella che rimanga nel tempo.
Se avete carta e penna sottomano quindi segnatevi questi due suggerimenti. La traccia numero 9, si intitola “In My Head”, ha la melodia del ritornello che sembra composta a tavolino seguendo un manuale di istruzioni per montare un pezzo rock’n’roll stile Ikea. E la traccia numero 11, “All These Things”, ha un giro di chitarra un po’ banalotto che impatta sul resto del pezzo ma a quel punto il disco è quasi finito e un brano eseguito con il pilota automatico, passatemi la metafora, uno di quelli che suona da solo indipendentemente dal fatto che ci sia qualcuno che lo ascolta oppure no, ci può anche stare. Dimenticavo: quando ci sono delle chitarre pesantemente elettriche di mezzo, il confine tra alternative-indie e hard rock tamarro non è così netto come sembra e occorre essere davvero qualificati per dimostrare al pubblico, traccia dopo traccia, di stare dalla parte giusta (quella non hard rock tamarra, per intenderci).
Smarcati questi punti, è il momento della buona notizia. Reeling dei The Mysterines è un disco sbalorditivo, uno di quelli da punteggio pieno che vedremo alle vette delle classifiche di fine anno a prova di un successo sorprendente, considerando che si tratta di un album d’esordio. Un insieme di canzoni che ti lasciano senza fiato.
Reeling è uno di quei dischi che, mentre lo ascolti, passi il tempo a pensare “ma dove ho già sentito questa voce” e poi ti accorgi che, quella voce, ce l’hai dentro. Perché è la voce universale, sensuale e provocante del rock più cupo, nella sua strenua ricerca di manifestare se stessa attraverso una personificazione.
Nella voce di Lia Metcalfe c’è l’essenza della nascita e della morte, l’alfa e l’omega, come direbbe qualcun altro. Un inferno in cui ci si inabissa per assistere a una carrellata di fatti e figure della propria vita per poi tornare fuori, alla fine, sfatti e sfiniti, a riveder le stelle. Grunge, garage e punk a portata di mano, accentuati da un timbro graffiante e dalle venature blues, imponente e primitivo, un’arma spietatamente controllata per affondare i colpi decisivi sempre al momento più appropriato di ogni canzone. E anche se per Lia Metcalfe nessuna enfasi è fuori luogo, e sono stra-sicuro di non aver esagerato, limitare la bellezza e tutta la portata della musica dei The Mysterines al canto è sicuramente riduttivo.
Pochi lavori possono permettersi un incipit da urlo come “Life's a Bitch (But I Like It So Much)”. Non ci credete? Schiacciate play. Un riff di chitarra da manuale, il fill di batteria che ti sbatte dentro a una canzone che ti stende nel giro di una battuta, e quella vocina che du du du du è già pronta a mandarti in estasi. Pochi minuti ed ecco “Hang Up” a rincarare la dose, a farti venire la voglia di googlare i loro nomi e vedere che facce hanno, come si muovono sul palco, che strumenti imbracciano, di sapere tutto sulle loro vite, chi sono, dove sono, dove vanno e, se possiamo salire a bordo, dove ci stanno portando. E, come da copione, ecco un bis di ballad pronte a ritardare l’estasi da piacere, la titletrack “Reeling” con i suoi suoni sporchi e le sue parole accattivanti e la devastante “Old Friends/Die Hard”.
Il disco torna ad accelerare con un brano pressoché perfetto, “Dangerous”, ascoltando il quale è sufficiente soffermarsi sulla pronuncia dei primi versi - “I was willing and able but I was caught in your jaws. You caught me standing on the table, I saw you watching me fall” - per cadere, insieme a Lia Metcalfe, definitivamente. Cosa dire poi delle tinte southern di “On the run”, del gospel di “Under Your Skin”, dei continui cambiamenti di “The Bad Thing” che parte in sette quarti per sfociare in uno stoner veloce fino alla fine, delle atmosfere grunge di “Means To Bleed”, della bellezza della chitarra e voce di “Still Call You Home”, della chiusura dark del disco affidata a “Confession Song”, un pezzo che non stonerebbe in un album dei Bambara.
Reeling è un’opera per chi ama gli ascolti impulsivi, le avventure musicali da una notte, i flirt nati dal nulla e nel nulla, i deja-vu che ti riportano a quel momento in cui sei sicuro sia iniziato tutto, le colonne sonore protagoniste di lunghi viaggi in solitudine, le cuffie con ascolti a tutto volume nel buio. Vi colpirà il suo perfetto equilibrio tra generi diversi, il sapere di tanti gusti per un sound impossibile da identificare, la sua capacità di raccogliere ammiratori di cose apparentemente distanti tra loro perché così orgogliosamente indefinito da risultare mai sentito e, allo stesso tempo, qualcosa di esistente da sempre. Il rock in sé.