Avete presente quel giochino del genio della lampada e dei desideri impossibili da esaudire, quello da fare da soli o in compagnia? Anche se si tratta poco più di un innocuo pourparler, io non sprecherei comunque un’opportunità di questa portata con inutili velleità come vincere alla lotteria, sposare la mia attrice preferita, possedere la forza fisica di Superman, beneficiare dell’immortalità o essere investito del superpotere dell’invisibilità per fare i dispetti alle persone a casa loro. Resti tra noi, ma ho sentito persino di gente che opterebbe per un giorno da trascorrere nella Roma dei tempi di Ottaviano Augusto per assistere, dal vivo, a una conversazione in latino.
Per me, con un solo desiderio impossibile a disposizione, nulla di tutto questo. Io chiederei il dono di poter ascoltare di nuovo i Subsonica per la prima volta. Di poterli ascoltare senza averli mai sentiti prima, senza sapere chi sono.
Chiederei al genio della lampada di ricevere di nuovo la telefonata di quel cantante mio amico un po’ strambo, quello nell’entourage degli Africa Unite, che mi lancia l’idea di accompagnarlo al primissimo esordio live del nuovo progetto di Max Casacci, chitarrista appena fuoriuscito dalla band di Madaski e Bunna, e lì scoprire che si tratta della stessa band notata qualche settimana prima in un discobar del ponente ligure, in una formazione non ancora definita, alle prese con un’originale cover di “Impressioni di settembre” della PFM, addirittura con il celebre tema di synth riprodotto con il basso e arrangiata con quel ritmo reggaeggiante che, poco dopo, sarà utilizzato per “Cose che non ho”.
Chiederei al genio della lampada di non aver mai assistito a più concerti dei Subsonica nel periodo d’oro (dall’esordio omonimo fino ad Amorematico) di qualunque altra band o artista nel resto della mia vita fino a oggi e di cancellare dalla mia memoria anche gli svariati aneddoti tratti dal loro diario di bordo (se eravate sull’Internet nel 1998 o 1999 sapete di cosa parlo).
Gli chiederei non di aver mai portato mia figlia a sette anni a un loro concerto al Forum di Assago, da cui poi scappare lei, mia moglie ed io alla prima canzone (pur avendo pagato i biglietti) a causa del volume e conseguente rimbombo dei bassi e della cassa insostenibile, per la sua età. Una reazione piuttosto prevedibile, nonché meritato contrappasso a fronte di un patetico tentativo di ingerenza sui suoi gusti musicali.
Mi porrei così al cospetto di Realtà Aumentata dei Subsonica senza conoscere nulla dei Subsonica. Tabula rasa e completamente vergine sui Subsonica ma non nel 1996, bensì oggi, ai tempi delle friggitrici ad aria, della guerra nella striscia di Gaza, di Lollobrigida, di Rondo e Baby Gang, del bonus 110, dei novax, dei video tutorial e del digiuno intermittente.
Il punto è proprio questo: l’ascolto di Realtà Aumentata esaudisce in parte il mio desiderio impossibile. Ascoltare Realtà Aumentata dei Subsonica è un po’ come ascoltare, per la seconda volta, i Subsonica per la prima volta.
Se fosse così, all’uscita di Realtà Aumentata, scoprirei il genere musicale esclusivo dei Subsonica che, al netto dei gusti (può piacere o non piacere) non ha eguali, né dalle nostre parti, né altrove. Nel potere maledettamente evocativo che ha la musica, i Subsonica non ricordano nessuno se non loro stessi e solo loro sanno suonare come i Subsonica.
Il modo in cui Samuel pronuncia le vocali, le parti di synth di Boosta, la sobrietà chitarristica di Casacci, i fill di quel mostro di tecnica che sta dietro ai tamburi e lo stile con cui il basso di Vicio si infiltra dappertutto, tanto per iniziare. Per non parlare delle intrepide e spiazzanti trovate armoniche, del substrato sonoro al limite del kitsch e così denso di mandate da perdere la testa, e quel mix di vissuti musicali con cui è stato costruito il loro sound. Anzi, è incredibile come nessuno, in tutto questo tempo, abbia mai tentato di emularli, a parte qualche goffo approccio alla tenuta del palco da parte del cantante dei Negramaro. È incredibile che non ci sia nessuno, in Italia, di cui si possa dire che suona come i Subsonica, che non sia mai uscito un disco che è “tipo quel disco dei Subsonica”.
Ed è sorprendente che il pop italiano di adesso non abbia nulla a che vedere con i Subsonica (che comunque un po’ pop i Subsonica lo sono), ma nemmeno l’indie o le sperimentazioni elettroniche (che comunque un po’ indie ed elettronici i Subsonica lo sono), tantomeno i derivati della trap (no, per fortuna con la trap non c’entrano un tubo). È inspiegabile come i Subsonica siano, da sempre, al di sopra del tempo.
Eppure, se il mio desiderio venisse davvero esaudito, non potrei non ammettere la modernità di quello che sento, non appurarne la sintonia con i tempi cupi che corrono, non cogliere la maturità nella lettura della realtà e la sua efficace trasposizione in liriche per canzoni. Persino, in alcuni passaggi, ravvisare la mezza età di chi suona (Casacci è del 1963) e la sensibilità assai più credibile sia rispetto agli artisti cinquantenni super-giovani ancora in attività, sia rispetto a quelli sessanta-settantenni in andropausa artistica, pur professando, i Subsonica, un genere musicale fortemente electro-qualcosa che, da sempre, è il genere musicale giovane per eccellenza.
Tutto questo senza la necessità di fare un check, brano per brano, con la lista dei rispettivi titoli da una parte e dall’altra, tra questo e un disco perfetto come Microchip Emozionale, per calcolare la differenza di peso e di valore in qualità come facciamo sempre con i nuovi dischi dei Subsonica.
Allora, lasciatemi un paio di considerazioni. Realtà Aumentata è il disco più da Subsonica dei Subsonica dai tempi di allora, il quarto meritato successo ufficiale in ordine cronologico dopo Subsonica, Microchip Emozionale e Amorematico, e paradossalmente il primo vero disco dei Subsonica in cui la band non si guarda indietro con lo sterile tentativo di bissare gli antichi fasti ma esprime una personalità rivolta al futuro, più autorevoli che mai.
Nessuno, degli album dei Subsonica pubblicati dopo quella stagione, può vantare la totale assenza di passi falsi tra le tracklist e di ritmi dispari come questo. “Cani Umani”, “Mattino di Luce”, “Pugno di Sabbia”, “Universo”, “Nessuna Colpa” (con la voce di Samuel modificata con il pitch nella strofa a renderlo irriconoscibile), sono un’esplosione dietro l’altra. Si tira il fiato paradossalmente solo con “Missili e Droni” e, subito dopo, con “Scoppia la Bolla”, per farsi nuovamente risucchiare nell’iperspazio di “Africa su Marte”, fino a “Grandine”, “Vitiligine” e l’addio di “Adagio”, una colonna sonora che ammicca a certe atmosfere strumentali di Low di Bowie, perfette per dei titoli di coda che ci lasceranno, probabilmente, al buio per un po’ e da soli, con il ronzio nelle orecchie.
Probabilmente il miglior disco di una band italiana riconducibile alla musica per adulti degli ultimi decenni, Realtà Aumentata esce nella stessa settimana in cui, su uno di quei canali inutili della tv digitale, sono iniziate le repliche della prima stagione di ER e (per puro caso) ho assistito alla proiezione di Perfect Days di Wim Wenders, anche questo un link (analogico come le cassette protagoniste del film) con un periodo storico in cui il presente era perfetto. Il nuovo anno inizia con un colpo di scena. Il genio della lampada, trentenne come me nel 1997, mi sta inviando dei segnali. Allora chiudo gli occhi e conto fino a tre, magari è la volta buona che un desiderio impossibile si avvera.