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REVIEWSLE RECENSIONI
08/11/2022
The Dead Daisies
Radiance
Il secondo disco dei Dead Daisies con Glenn Hughes in formazione è tecnicamente ineccepibile, ma privo di quell'ispirazione che aveva marchiato a fuoco il precedente Holy Ground.

Sesto album in nove anni per i The Dead Daisies, un supergruppo che somiglia tanto a un porto di mare, dal momento che nella line up della band sono transitati (tanti) musicisti straordinari, da Darryl Jones (Rolling Stones) a Dizzy Reed (Guns'n'Roses) e John Corabi (Motley Crue), solo per citarne alcuni. A capo della band, da due dischi a questa parte, è Glenn Hughes (Deep Purple, Trapeze, Black Sabbath), in veste di vocalist e bassista, ulteriore fiore all’occhiello di quello che poteva essere considerato un esperimento estemporaneo e, invece, a dispetto dei continui avvicendamenti, ha dato prova di inusuale stabilità.

Questo Radiance esce dopo l’acclamato Holy Ground (2021) e la formula, un hard rock di matrice settantiana, tutto riff, assoli e potenza, oltre a un importante dose di blues a impacchettare la confezione, resta immutata. Radiance è un lavoro di ottima fattura, tecnicamente ineccepibile, a cui forse manca un filo di originalità, a fronte di un mestiere consolidato e di un songwriting con il pilota automatico innestato. Queste, tuttavia, sono considerazioni risapute, che valgono un po' per tutti gli album che lo hanno preceduto. Quel che manca a questo nuovo lavoro è, semmai, l’ispirazione, quel quid, insomma, che rende un lavoro derivativo credibile ed emozionante.

La caratura dei musicisti, per carità, non si discute: l’accoppiata Aldrich e Lowy alle chitarre è di quelle che non hanno bisogno di presentazioni, la sezione ritmica (oltre Hughes c’è il redivivo Brian Tichy) martella come da canovaccio. L’ex Deep Purple, tuttavia, pur essendo una delle migliori ugole in circolazione, almeno per quanto riguarda il genere, risulta essere un po' sottotono, non all’altezza di precedenti performance, forse a causa delle tonalità basse delle composizioni.

A Radiance, poi, mancano brani che alzino il livello della scaletta, alcuni ritornelli sono fulminanti ("Hypnotize Yourself" e "Shine On"), anche perché questa è una band capace di lanciare ganci melodici irresistibili, ma le canzoni, questa volta, restano nell’ombra di un’anonima prevedibilità e, talvolta, perdono slancio a causa di una struttura che spesso spegne gli assalti in digressioni più lente.

Certo, il suono delle chitarre è magnifico per tutta la durata dell’album (l’assolo in "Courageous" è da capogiro), l’idea di aprire "Kiss The Sun" con l’uso di un talkbox è suggestiva, e la conclusiva "Roll On", un midtempo molto melodico, avvolto in un bel arrangiamento d’archi, è decisamente un bel modo di chiudere la scaletta. Ma è un po' troppo poco per una band che, basta guardarsi dietro, possiede potenzialità enormi. Non c’è nulla di inascoltabile in Radiance, e se siete amanti del genere, l’ascolto resta godurioso, ma dai Dead Daisies bisogna pretendere ben altro e qui, spiace dirlo, siamo appena sopra il minimo sindacale.