Si parla tanto di steccati, barriere di genere, presunta o meno purezza di una certa proposta musicale, e poi arriva uno come Andrea Gargioni, in arte Andre Blanco, che è cresciuto coi grandi nomi del Grunge, è passato per i cantautori come Neil Young, si è innamorato di John Mayer ed è diventato un professionista lavorando dapprima con J Ax e Fedez, poi con gente come Shade, Two Fingerz, Axos e altri. Oggi è autore e produttore per molti artisti "major" ma ha anche un forte legame con Machete Dischi, una delle realtà più consistenti quando si parla di Hip Pop italiano.
Ecco, dopo tanti anni a lavorare con altri, Andrea si è finalmente deciso a pubblicare nuovamente qualcosa di suo. Lo aveva fatto con “Need”, un ep di cinque pezzi che era uscito nel 2015 ma che era andato via un po’ in sordina, quasi come se il suo autore non ci credesse più di tanto.
Altra cosa per questo “Queen of Colors”, lavoro sintetico (sette canzoni per neanche mezz’ora di durata) ma decisamente ricco e stratificato, che ha richiesto mesi di intenso lavoro e ha visto la partecipazione di una ricca squadra di musicisti, la maggior parte dei quali sono amici con cui Andrea condivide da tempo la sua vita musicale.
Già, perché ancora prima di entrare nel merito della musica, l’elemento che balza agli occhi è che questo ragazzo di Milano ha le idee chiare sul suo essere musicista e sul suo essere persona. È uno che è consapevole del fatto che l’arte funziona se c’è dietro un artista e che l’artista è soprattutto un uomo che ha ricevuto un dono e che deve provare a metterlo a disposizione di tutti. Ma sempre e comunque rispettando la verità, di se stesso e delle cose.
Ecco, quando parli con Andrea, quando vedi come si rapporta alle persone che incontra, come si approccia al suo lavoro, quando capisci quanti legami ha intrecciato con artisti, produttori e videomaker tra i più quotati in Italia, ti rendi conto che la bravura professionale, quando non sia inserita all’interno di un contesto umano di un certo valore, rischia di lasciare il tempo che trova.
E allora questo disco, che pure è un disco molto bello e ben realizzato, acquista maggior valore se si pensa a tutto il lavoro che ci sta dietro e ai legami che intercorrono tra coloro che vi hanno partecipato. Ermanno Fabbri e Jacopo Grazioli alle chitarre, Francesco Ravasio al basso, sono amici di lunga data che col loro operato hanno plasmato un sound delicato ma assieme solidissimo, con la chitarra acustica di Andrea a fungere da tappeto ritmico e la batteria di Aaron Sterling a dettare i tempi e, di fatto, a svolgere il ruolo di direttore d’orchestra. La presenza del drummer di John Mayer e Lana del Rey è indubbiamente il valore aggiunto di un prodotto già di per sé ottimo ed è interessante notare come la tipica impronta sonora della sua batteria sia qui presente appieno e contribuisca a definire il suono di questi pezzi, grazie anche all’abile lavoro dietro al mixer di Cristian Milani, uno che di nomi che contano se ne intende di certo, visto il suo curriculum.
Arricchisce il tutto la presenza del sassofono di Dario Paini, che puntella egregiamente “I’ll Let You Down”, e le backing vocals di Laura Santambrogio e Martina Ungarelli, che danno rinforzo in più punti al cantato di Andrea.
Una grande squadra, dunque, al servizio di brani ottimamente scritti, che si muovono in maniera naturale lungo le coordinate di un “Soft rock” in più punti ammantato di Folk e di Blues, un sound dove l’influenza di John Mayer è senza dubbio evidente ma che parlano comunque il grande linguaggio universale del cantautorato americano.
Un disco fatto col cuore, espressione del bisogno, da parte del suo autore, di rappresentare le varie fasi attraverso cui può passare una storia d’amore, dalla durezza della separazione, alla consapevolezza che l’altro per forza di cose sarà destinato a deluderci, al rimorso degli errori commessi, fino all’entusiasmo per una nuova ripartenza.
Un mood prevalentemente malinconico, che ha in “I’ll Let You Down” e “In My Head” (da cui è stato tratto anche un video diretto da Jamie Robert Othieno, già noto per i suoi lavori con Ghali) i suoi picchi più alti ma che in “Waste My Time” gioca la carta del groove e in “Queen of Colors” fa esplodere una festa di sgargiante positività.
Nulla di nuovo sotto il sole, per quanto riguarda la proposta, ma non era neanche lecito aspettarselo. Qui c’è soprattutto un lavoro di cuore, di un autore che si mette a nudo per condividere un pezzo del suo cammino con chi volesse ascoltarlo. Un disco che è anche un gesto gratuito, però, se pensiamo che tutto il ricavato delle vendite sugli store online verrà devoluto ad AVSI, una Ong che porta avanti diversi progetti in paesi in via di sviluppo. Tra questi c’è l’Uganda, dove Andrea è nato e dove è rimasto per i primi 13 anni della sua vita, a seguito del padre, medico in quella zona. Recentemente ci è ritornato per un breve periodo e sono nati rapporti e collaborazioni che si sono innanzitutto concretizzati in questa decisione. Anche per questo motivo, si tratta di uno dei dischi più sinceri che sia uscito quest’anno. Prenderlo in considerazione non potrà che farvi bene.