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THE BOOKSTORECARTA CANTA
Quaranta Frustate Meno Una
Elmore Leonard
2017  (Einauidi)
LIBRI E ALTRE STORIE
6/10
all THE BOOKSTORE
11/03/2018
Elmore Leonard
Quaranta Frustate Meno Una
Che il grande Elmore Leonard abbia scritto di meglio è fuor di dubbio. Basterebbe recuperare un paio dei suoi romanzi più famosi, per rendersi conto che questo Quaranta Frustate Meno Una (pubblicato per la prima volta nel 1972) sia un’opera minore

La prigione di Yuma è un girone infernale, in particolare se hai la pelle scura. Per la legge, l'apache chiricahua Raymond San Carlos e l'ex soldato nero Harold Jackson sono assassini, condannati a marcire in carcere, a meno che qualcuno non gli tagli anzitempo la gola. Ma anche nel peggior posto sulla faccia della Terra si presenta a volte un barlume di speranza. Cinque criminali sanguinari sono evasi da Yuma: se Harold e Raymond riusciranno a consegnarli allo sceriffo, i due, prima nemici poi complici per necessità, potrebbero conquistare uno straccio di redenzione.

Che il grande Elmore Leonard abbia scritto di meglio è fuor di dubbio. Basterebbe recuperare un paio dei suoi romanzi più famosi, come Out Of Sight o Jackie Browne (entrambi trasformati in film, rispettivamente per la regia di Quentin Tarantino e di Steven Sodenbergh) per rendersi conto che questo Quaranta Frustate Meno Una (pubblicato per la prima volta nel 1972) sia un’opera minore.

Anche sotto il profilo della scrittura, questo romanzo di ambientazione western carceraria, ci offre un Leonard non certo al top, più lineare del solito, meno elusivo e ricercato nell’uso delle parole e, oserei dire, “normalizzato” in quello che solitamente è il suo punto di forza, e cioè i dialoghi.

Fatta questa doverosa premessa, pur abbondando di luoghi comuni e di personaggi prevedibili e ampiamente caratterizzati anche al cinema (il capo banda malvagio, il brutale secondino, etc. – non è un caso che Leonard fosse anche un grande sceneggiatore) il romanzo fila via piacevole fino all’ultima pagina, tra sparatorie, scazzottate, improbabili corse nel deserto e qualche pruriginosa scena di sesso.

Non manca, a voler essere generosi, anche il secondo piano di lettura, che potrebbe essere individuato in una ironica critica al mito romantico del “buon selvaggio” (Jean Jaques Rousseau docet), al cripto-razzismo, che in questo caso veste le mentite spoglie di un sovrintendente della prigione ingenuo, condiscendente e compassionevole, e all’asfissiante ingerenza della chiesa nelle società di ogni tempo. Lettura divertente ma francamente prescindibile.