In una intervista promozionale rilasciata alla stampa per l'uscita di Purple House, Robben Ford ha dichiarato di essere stato rapito dalle potenzialità degli studi di registrazione, evidenziando come in un futuro prossimo intenda dedicarsi alla produzione. Queste parole sono la chiave di lettura migliore per recensire l'ultima uscita del chitarrista californiano, che è forse il lavoro più pop di Ford dopo oltre quaranta anni di carriera discografica.
Il Robben Ford che conosciamo infatti è un guitar hero universalmente riconosciuto, uno dei chitarristi più importanti in ambito blues dell'ultimo trentennio nonostante un certo evidente distacco sia dai riflettori che dalla fama. Ford infatti è sempre sembrato rifiutare le facili etichette e così la sua musica ha oscillato tra il blues degli esordi, la fusion a cavallo tra i novanta ed i duemila, il jazz dell'incontro con Larry Carlton, il soul come collante di tutte queste espressioni.
Con “Purple House” è invece arrivato il momento di togliere la chitarra dalla prima fila per farla diventare un elemento necessario allo sviluppo della canzone. Ciò non toglie all'ascoltatore il piacere del talento chitarristico di Ford, ma restituisce un songwriter consapevole. Prendiamo ad esempio "Bound for glory", un brano che non ho alcun timore a definire pop, con quell'inizio diretto voce/chitarra che potrebbe benissimo introdurre un brano di Ryan Adams; poi ecco una melodia trascinante, con la chitarra sublime che come un pennello pittura con eleganza la tela. Ma è la melodia a trascinare una canzone che le radio potrebbero passare senza difficoltà. Nella più muscolosa - e tecnica - "Tangle With Ya", nonostante una progressione smaccatamente pop e l'uso sapiente della sezione fiati, è ancora il duo melodia e inciso chitarristico a farla da padrone ed il brano si fa ascoltare che è un piacere: meno di quattro minuti in cui riconosciamo quel tocco sulle corde ma anche una vena compositiva rinnovata.
Il blues ritorna - e ci mancherebbe - con "What I Haven't Done", ma il clima è rilassato e jazzy con un Fender Rhodes azzeccato. In "Break The Chains" il songwriter californiano imbraccia l'acustica: niente virtuosismi, un'altra melodia orecchiabile, un chorus semplice ed un duetto con la grande Shemekia Copeland a dimostrazione che Ford è sul pezzo, ospitando una delle voci di maggior successo attualmente nel pianeta blues. Grande musica e non solo oggetto di studio per chitarristi.
Non manca il funk sino al midollo di "Somebody's Fool" già presente nel disco dei Supersonic Blues Machine, lì in una versione da rock/blues elettrico in pompa magna, qui più elegante, ma sempre da far muovere le gambe ad un ritmo irresistibile.
Se al primo ascolto ero rimasto deluso, dopo circa due settimane sul lettore Purple House è una piacevole sorpresa ed esce fuori dal cliché del disco riservato agli amanti della sei corde, per aprirsi ad una platea più ampia. Insomma, dimenticatevi le cavalcate con assoli infiniti e preparativi a fischiettare queste melodie sotto la doccia.