Durand Jones e i suoi Indications continuano a percorre a ritroso la strada della black music, oscillando fra anni ’60 e anni ’70, e ripristinando con passione e serio approccio filologico suoni antichi che, nelle loro sapienti mani, mantengono ancora oggi un’incredibile forza propulsiva. Così, se inserisci Private Space nel lettore cd e schiacci play, la prima cosa che ti passa per la mente è: “Accidenti, questo disco degli Earth, Wind And Fire non lo conoscevo!”. E non potrebbe essere diversamente, visto che il terzo album della band originaria di Bloomington pulsa esattamente come i classici EWF targati anni '70.
Queste dieci tracce non si allontanano molto, almeno dal punto di vista concettuale (tirare a lucido la storia della black music), dal precedente stile retro-soul della band, anche se gli elementi degli anni '60 che avevano alimentato i primi due dischi, vengono qui sostituiti dalla lucentezza del suono disco che andava di moda dalla metà alla fine degli anni '70. Elementi di The Gap Band, The Brothers Johnson, Hot Chocolate e Isley Brothers si mescolano con il dance-pop dei Bee Gees, creando un set fatto per essere inserito nella playlist di una qualche discoteca retrò.
Un approccio vintage che puoi ritrovare anche nei seducenti titoli delle canzoni, "Sexy Thang", "The Way That I Do" e "More Than Ever", che richiamano alla memoria la sensualità di quel periodo storico che Jones e la band vogliono replicare. Tuttavia, a voler dare anche un’occhiata veloce alle liriche delle canzoni, gli argomenti trattati sono talvolta ben radicati nel presente, con richiami ai giorni difficili della pandemia e del lockdown ("Love Will Work It Out") e a una rinata speranza ("I Can See").
Trattasi, però, solo di episodi, dal momento che la maggior parte delle liriche parla di questioni di cuore, perfetti clichè per un disco il cui intento, alla fine, è solo quello di divertire. E in tal senso la band centra il bersaglio: il funk/disco di canzoni come "Sea Of Love" è irresistibile, gli echi di Giorgio Moroder in "Witchoo" fanno perdere la testa, il ballatone "Ride Or Die", punteggiato di chitarra wah-wah e voci in falsetto riesce addirittura a evocare il fantasma di Marvin Gaye, mentre "Reach Out" potrebbe facilmente essere scambiata per una gemma proveniente dal repertorio di Hall & Oates.
Private Space non è certo un disco dalle grandi rivelazioni, si limita a far rivivere il passato, lucidando, con entusiasmo e qualche piccolo tocco di modernità, quegli straordinari groove che riempivano le piste da ballo quarant’anni fa. Durand Jones e il fidato batterista/polistrumentista/co-vocalist Aaron Frazer in tal senso sono maestri, e mettere nel lettore questo cd è un po' come rivivere la stessa magia. Niente che cambi la storia di questo 2021, ma solo la certezza che, sparato a tutto volume a una festa, Private Space sarà in grado di riportare, con naturalezza, tutti in pista per ballare fino all’alba.