Fin dall’anno di nascita, il 2012, gli Struts si sono ritagliati una propria nicchia, alimentata da spettacoli dal vivo incendiari e da una serie di album acclamati anche dalla critica, che hanno ammiccato ai giganti del passato, pur mantenendo i piedi ben piantati nel presente, guadagnandosi così l’etichetta, in realtà un po’ forzata e riduttiva, di nuovi Queen. Dopo un decennio di attività, la band capitanata da Luke Spiller ha raggiunto un momento importante della propria carriera, quello in cui è necessario dare conferme, per dimostrare di meritare tutte le lodi ottenute finora.
In tal senso, il loro quarto album, suona decisamente più maturo e consapevole, più rifinito nei suoni, ma in qualche modo anche più prevedibile. Una sorta di normalizzazione, che assicurerà loro un ulteriore spinta verso il successo, ma che, per converso, rende meno frizzante la proposta. Un male? Non necessariamente. Perché, fatta questa doverosa premessa, bisogna anche aggiungere che Pretty Vicious è, ad ogni buon conto, un ottimo disco, più telefonato, forse, ma comunque divertente.
Apre le danze "Too Good at Raising Hell", un brano sfrontato e sensuale, che dispiega immediatamente l’armamentario glam rock che la band sa maneggiare con spavalda destrezza. La successiva title track, tra i brani migliori del lotto, fonde mirabilmente britpop e new wave (si può percepire un retrogusto Simple Minds), mentre "I Won't Run" e "Do What You Want" spiegano alla perfezione il motivo per cui la band trova consensi anche al di là dell’oceano Atlantico: sono due brani clamorosamente radiofonici, attraversati da un divertissement innodico e perfetti da ascoltare in macchina, alzando il volume al massimo e pigiando il piede sull’acceleratore.
Che la band abbia mandato a memoria la lezione impartita da Rolling Stones, Slade e, perché no, Ac/Dc, è del tutto evidente in brani come "Rockstar", le cui atmosfere evocano decisamente la fine degli anni Settanta, e come la già citata "Do What You Want", un boogie in perfetto bilico fra graffio e ammiccamento FM. E anche se è del tutto evidente che ci troviamo di fronte a una delle band più derivative in circolazione, è però altrettanto vero che gli Struts sanno destreggiarsi con abilità muovendosi negli ultimi cinquant’anni di storia, rubando il meglio e proponendolo con intelligente spavalderia.
Non mancano, poi, in scaletta anche alcune ballate dal retrogusto malinconico, come "Bad Decisions", forse un po’ troppo prevedibile nello svolgimento, la più vibrante "Hands On Me", e la splendida, conclusiva "Somebody Someday", pianoforte e voce, crescendo, suono classicissimo e un languido tocco nostalgico che lascia un buon sapore in bocca.
Pretty Vicious è forse meno sorprendente dei precedenti lavori, però testimonia la volontà della band di crescere ulteriormente, anche cercando di aprirsi sfacciatamente al mainstream. Se la direzione intrapresa sia quella giusta, lo sapremo in futuro; quel che è certo è che con questo nuovo disco gli Struts si confermano una band che sa rivitalizzare suoni antichi con canzoni in grado di fare da collante intergenerazionale. Pretty Vicious è, in tal senso, un disco che ammicca agli ascoltatori più nostalgici ma anche in grado di incuriosire i più giovani amanti del rock. Non è cosa di poco conto.