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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
03/03/2023
Live Report
Preoccupations, 28/02/2023, Magnolia, Milano
Appare ormai acclarato che i Preoccupations non cambieranno la storia della musica. Il live di ieri è stato comunque un gran bel live, direi che dobbiamo solo essere contenti che gruppi come questi, che al di là di tutto rimangono grandi gruppi, decidano ugualmente di passare dalle nostre parti nonostante non abbiano numeri da capogiro.

L’ultima volta che i Preoccupations hanno suonato a Milano era il novembre del 2016, una vita fa. All’epoca avevano appena cambiato nome, dopo che il monicker originario Viet Cong si era rivelato in più occasioni fonte di incidenti imbarazzanti, nella nuova dittatura del politically correct (detto in breve, non trovavano più nessuno che li facesse suonare) e avevano da pochissimo pubblicato il loro terzo lavoro in studio, intitolato semplicemente Preoccupations (tra parentesi, oggi di gruppi che si ribattezzano in ossequio al pensiero mainstream ce n’è più di uno e la cosa dovrebbe farci riflettere).

Forse ho capito male io, ma mi pare proprio che ad un certo punto Matt Flegen abbia detto di ricordarsi di aver suonato al Magnolia due anni prima: come sarebbe stato possibile, tra Covid e tutto il resto?

La verità è che la band canadese mancava da tanto, troppo tempo: per il tour di New Material avevano scelto il centro della penisola (a memoria, ricordo Siena e Ravenna), in quelle date per me impossibili da raggiungere; va da sé che personalmente non li vedevo dal giugno del 2017, quando si resero protagonisti di una performance assolutamente devastante nell’ultima serata del Primavera Sound.

Entusiasmo alle stelle all’idea di rivederli in azione, dunque, nonostante la consapevolezza che Arrangements, il disco che stanno portando in giro sia, per quanto buono, parecchio distante dalla cupa grandezza degli esordi.

 

Il luogo è sempre il Circolo Magnolia e anche il palco è lo stesso, quello piccolo appena dopo l’ingresso. C’è abbastanza gente per far apparire il posto pieno, per fortuna, ma stiamo comunque parlando di un paio di centinaia di persone, così ad occhio. Solito disinteresse e pigrizia da parte del pubblico italiano oppure segno di una inevitabile flessione da parte di un act che in studio non sembra più così interessante come prima? Difficile e forse anche inutile rispondere. Parlando in concreto della serata, si parte coi Ghost Woman, progetto con base a Londra, il cui titolare è il chitarrista e polistrumentista Evan Uschenko, che dal vivo è affiancato dalla compagna Ille van Dessel alla batteria. Hanno pubblicato due dischi, l’ultimo dei quali, Anne, if, è udito a gennaio per Full Time Hobby.

Non li conoscevo e sono stati una bellissima scoperta: suono scarno ma potentissimo, con la batteria secca e geometrica, una chitarra rumorosa e abrasiva, tempi lenti e numerose ripetizioni, sporadiche cavalcate marziali in stile Post Punk, che li rendono in più punti affini alla proposta degli headliner della serata. Qua e là si intravedono poi aperture in stile Classic Rock, che mettono in mostra un eclettismo sonoro che a prima vista non si sarebbe sospettato. Devo sicuramente sentire con calma la loro produzione in studio ma direi che hanno lasciato un segno.

 

I Preoccupations, come detto, hanno un nuovo disco da promuovere, Arrangements, che è il loro quinto, contando anche i due realizzati a nome Viet Cong; un lavoro che ha in parte recuperato le architetture industriali e le atmosfere gelide degli esordi, ma che ha nel frattempo mantenuto quella maggiore apertura melodica che era stata un po’ la cifra preponderante di New Material. Un songwriting sicuramente più ispirato rispetto al precedente, un livello senza dubbio buono con almeno un paio di episodi sopra la media. Questo oggi sono i Preoccupations e questo fanno vedere sul palco, in un tour dove non hanno paura di presentarsi con indosso il vestito più recente.

Non è infatti un caso che la prima parte del concerto sia interamente dedicata al nuovo disco, eseguito dal primo all’ultimo brano, in ordine di scaletta, con pochissime pause nel mezzo (giusto pochi secondi per prendere fiato, bere un sorso d’acqua e salutare il pubblico) e per certi versi in una versione più compatta e sbrigativa rispetto a quella in studio. Non ci avrei scommesso molto ma funziona. Ok per quei pezzi come “Fix Bayonets!”, “Ricochet” e “Death of Melody”, sulla cui resa non nutrivo dubbi, ma benissimo anche in quelle parti che al momento dell’uscita mi avevano lasciato un po’ freddino. In particolare il trittico conclusivo “Advisor”, “Recalibrate” e “Tearing Up the Grass” è apparso davvero esplosivo, decisamente più aggressivo e dinamico rispetto alle versioni originali, ha decisamente migliorato il mio giudizio complessivo sull’album.

D’altronde la band in sede live è sempre una garanzia, riconfermata anche dopo anni che non li vedevo. Implacabile il drumming di Mike Wallace, sempre molto lucide le chitarre di Scott Munro e Daniel Christiansen, precisi nei fraseggi melodici, potenti sulle ritmiche, saltuariamente qualche intervento al Synth che contribuisce a creare un’atmosfera di gelida cupezza. Matt Flegen è un po’ giù di voce, soprattutto all’inizio la sua timbrica è un po’ più flebile del previsto ma nel prosieguo dello show si riprende e alla fine la porta a casa più o meno in scioltezza. Senza sbavature invece la prova al basso, strumento che suona martellando a più non posso, a creare un muro di suono che è la cosa in assoluto più apprezzabile di questo gruppo in versione live.

La seconda parte del set è dedicata al passato e, dispiace dirlo, ma quando partono “Continental Shelf”, “Silhouettes” e “Bunker Buster” si capisce che siamo proprio su un altro livello qualitativo. Se ne accorgono anche i presenti, che si lasciano andare a più decise manifestazioni di entusiasmo e anche ad un accenno di pogo nelle prime file. L’unico estratto da New Material è l’ottima “Desarray”, che funziona bene anche in mezzo alle canzoni più datate. Un solo brano anche da Preoccupations, il disco del 2016 che segnò il cambio di nome della band: “Memory” è forse l’episodio migliore della serata, con i suoi quasi dieci minuti che alternando feedback rumorosi, riff ipnotici, ritmiche marziali e cavalcate anthemiche, offrono una summa convincente di quello che è stato il primo periodo del gruppo.

A chiudere una sempre splendida “March of Progress”, suonata con potenza e precisione, a volumi altissimi come tutto ciò che l’ha preceduta.

 

Appare ormai acclarato che i Preoccupations non cambieranno la storia della musica. Il live di ieri è stato comunque un gran bel live, direi che dobbiamo solo essere contenti che gruppi come questi, che al di là di tutto rimangono grandi gruppi, decidano ugualmente di passare dalle nostre parti nonostante non abbiano numeri da capogiro.