All'udire le parole "spaghetti" e "western" pronunciate una dietro l'altra e senza nulla a separarle nel mezzo non può non affiorare alla mente la trilogia del dollaro di Sergio Leone, la più nobile e celebre espressione di quel sottogenere, lo spaghetti western appunto, che sta a identificare la produzione nostrana di pellicole a tema che imperversò nelle sale più o meno dalla metà degli anni Sessanta del secolo scorso fino all'incirca ai tardi Settanta dando vita a una serie numerosa di film, di alterna qualità e spessore, che vanta titoli di forte richiamo ma anche esiti poco conosciuti ai più.
Al netto delle eccezioni che come accade all'interno di ogni corrente o filone non mancano, in genere lo spaghetti godeva di capacità finanziarie modeste compensate da molto ingegno: le location di solito si spostavano dalla Spagna (l'Almeria, quando andava bene) alle zone montane o periferiche italiane (come sembra sia il caso di Prega il morto e ammazza il vivo), gli attori non sempre erano nomi di grido o talenti della Settima Arte, i temi e i toni spesso molto lontani da quelli del western classico americano abituato a mitizzare un'epopea del west che probabilmente, come spesso mostrato dai film italiani, è stata decisamente più brutta, più sporca e più cattiva di quella presentataci da Hollywood per moltissimi anni.
Maggiore violenza, protagonisti più cattivi e meno limpidi, situazioni estreme, meno cortesie verso donne, vecchi e bambini, pochi pellerossa, tanto fango e parecchia lordura. E poi, ovviamente, soldi e oro, un motore narrativo sempre funzionale, quasi imprescindibile.
Prega il morto e ammazza il vivo rispetta diverse di queste caratteristiche, non vanta uno dei registi più quotati nel filone, non è uno dei titoli più noti del genere ma si dice abbia in parte ispirato Tarantino nella stesura di The hateful eight, in effetti qualche punto di contatto c'è...
Dopo un colpo ben riuscito che ha fruttato loro un bottino in oro di una certa consistenza, la banda di banditi capeggiata da Dan Hogan (Klaus Kinski) si dà appuntamento presso una stazione di ristoro con telegrafo che va sotto il nome di Jackal's Ranch; i primi ad arrivare sono i componenti del gruppo agli ordini di Reed (Dean Strafford) i quali trovano già nel locale l'intraprendente John Webb (Paul Sullivan alias di Paolo Casella), un pistolero che si offrirà di accompagnare il gruppo in maniera sicura ai confini con il Messico in cambio della metà del bottino, non un lingotto di meno.
In seguito sul posto giungerà Hogan, l'oro invece dovrebbe arrivare con la donna di Hogan, Daisy (Anna Zinnemann), scelta come corriere per dar meno nell'occhio. A gestire la locanda il vecchio proprietario Jonathan (Dan May/Dante Maggio) e la figlia Santa (Patrizia Adiutori) che vorrebbe convincere Webb a portarla con lui in una grande città, così da vedere un po' di vita.
Mentre si allunga l'attesa per Daisy nel locale cresce la tensione, Webb inizia a instillare in Hogan il tarlo del dubbio riguardo un possibile tradimento, Reed pensa che Daisy sia scappata con l'oro e non si fida più della guida di Hogan, nel frattempo arriva al Jackal's Ranch anche una diligenza con una coppia di ricconi, un vetturino e una sorta di ballerina. La situazione rischia di farsi sempre più esplosiva, la banda inoltre è ricercata dalle autorità.
Il regista laziale Giuseppe Vari, qui accreditato con nome d'arte anglosassone come usava all'epoca (Joseph Warren), non è tra i nomi più ricordati del filone spaghetti western, parliamo comunque di un direttore "artigiano" che iniziò come montatore la sua carriera nel cinema e che vanta una filmografia nutrita che conta circa una trentina di titoli all'attivo.
Prega il morto ammazza il vivo, titolo che anch'esso rientra in una tradizione di titoli quantomeno singolari, vive di una dicotomia degli ambienti; la parte del leone la gioca la lunga sequenza ambientata all'interno della stazione di sosta Jackal's Ranch, luogo chiuso nel quale molti confronti si sviluppano e giungono a una catarsi, non solo quelli tra banditi o che vedono protagonista Webb, ma anche per esempio quello tra la coppia di coniugi benestanti con problemi "matrimoniali".
È proprio questa la parte del film meglio riuscita e quella che probabilmente ha portato alcune firme della critica ad accostare il film di Vari all'opera più recente di Tarantino. Le sequenze in esterna sono quelle che invece mostrano un po' di fiato corto, il territorio scelto per girare non è quello del nord americano e qui la differenza si vede, come si percepisce la mancanza di budget nella scelta di non avere un set troppo variegato a disposizione per la costruzione della vicenda.
A vantaggio del lavoro di Vari c'è la presenza di Kinski nel ruolo di fetente che è una garanzia e che anche qui è sempre piacevole vedere all'opera, si gioca su una buona tensione nello sviluppo dei rapporti tra i molteplici personaggi (alcuni più credibili di altri) all'interno dello spazio chiuso, non mancano un paio di colpi bassi a bollare questi banditi come dei veri figli di buona donna (le sequenze nel fienile e quella delle sabbie mobili), per il resto latitano un poco una trama davvero avvincente (il plot è semplice, alcune scelte paiono raffazzonate e poco convincenti) e manca un poco di ritmo sul versante dell'azione che è perlopiù assente.
Un discreto episodio nell'ambito dello spaghetti buono per approfondire la conoscenza del genere, tanto più data la reperibilità su piattaforma a titolo gratuito (Pluto Tv nella fattispecie).