Carlo Corbellini, nonostante la giovane età, ha le idee piuttosto chiare. Ha messo i piedi i Post Nebbia a poco meno di vent’anni e li ha portati nel giro di un lustro e quattro dischi ad un sold out ai Magazzini Generali, vale a dire mille persone stipate all’interno di un locale, solo per vedere loro: un traguardo così, il gruppo padovano non avrebbe mai pensato di poterlo raggiungere, quando ha iniziato a muovere i primi passi all’interno di una scena musicale che appariva inesorabilmente votata alla rovina.
C’è una bella intervista rilasciata a Rolling Stone, dove il leader del quartetto spiega bene che cosa ha significato nascere nel 1999, poco prima che divenisse chiaro come la fine della Guerra fredda non avesse portato quella pace e prosperità che in tanti avrebbero sperato. Tra un mondo sprofondato in una confusione indecifrabile e una scena live che dopo il Covid sta andando incontro ad una rapida decomposizione, è di per sé degno di nota come i Post Nebbia riescano a tenere dritta la barra del timone.
Così come è sorprendente vedere un gruppo del genere, estraneo a quel mondo Urban Trap Hip Hop che ha fagocitato l’intero orizzonte commerciale della musica italiana, e al contrario autore di una proposta densa di riferimenti alternativi e anacronistici, andare a prendersi a poco a poco una fetta di pubblico giovane (tantissimi nella fascia 20-30, tra i presenti) e muovere tutto questo hype attorno al loro nome.
Certo, parliamo pur sempre di numeri minuscoli se messi a confronto con la dimensione mainstream, e lo stato attuale della musica dal vivo in Italia non permette nessun discorso ottimistico; eppure, se anche Carlo pensa che fare il musicista oggi voglia dire sopratutto puntellare rovine (per citare un poeta inglese abbastanza famoso), è altrettanto giusto portarsi a casa l’oggettiva bellezza di questo risultato e vedere dove porterà.
Purtroppo i Magazzini Generali non sono una venue ideale per godersi un concerto: non ci sputo certo sopra, per carità, anche perché i locali per suonare a Milano si sono ridotti in maniera tragica, ma questo posto lungo e stretto, con palco basso e visibilità ridotta, quando è pieno si tramuta in un luogo da evitare. Soprattutto quando ogni due secondi ci sono gruppi di persone che dalle prime file pretendono di raggiungere il bar (sistemato ovviamente in fondo) e poi di ritornare al loro posto, spesso con ancora in mano la birra o il cocktail di turno. Insopportabili. C’è l’aggravante che inizio a essere vecchio e certe cose faccio sempre più fatica a mandarle giù, ma c’è anche che il pubblico dei concerti sta raggiungendo dei livelli di intolleranza e distrazione veramente preoccupanti.
Parliamo pur sempre di una minoranza, per fortuna. L’accoglienza che i presenti riservano al set di apertura di Taistoi è infatti calorosa, e le canzoni vengono seguite in un clima di discreta partecipazione. Andrea Esposito, dalla provincia di Milano, è arrivato con Vibrisse, uscito appena prima di Natale, all’esordio su disco, mettendo in mostra una scrittura in bilico tra Jazz e Psichedelia, derivativa e a tratti prevedibile, ma non priva di tratti di piacevolezza.
Dal vivo sono in due, chitarra e tastiera, per cui l’impronta è molto più scarna e minimale, cosa che per certi versi riesce a valorizzare alcuni degli episodi in scaletta. Pregevoli anche alcune divagazioni strumentali dal sapore settantiano, che hanno impreziosito un live a conti fatti coinvolgente. Ennesima prova di come ci sia vita anche al di fuori dei sentieri più battuti.
Pista nera è senza dubbio il disco più ruvido e, per certi versi, cupo dei Post Nebbia, che riflettono sullo stato attuale della natura, tra crisi climatiche e la pretesa di larghe fette della società di non rinunciare al proprio benessere e alla propria tranquillità (la morte della montagna tra rifugi demoliti e neve artificiale, ben raffigurata dagli ottimi visual che hanno accompagnato le esecuzioni dei brani).
Se personalmente ho preferito il precedente Entropia Padrepio, che possedeva una certa vena Prog e rifletteva su temi escatologici con perfetta disinvoltura, è indubbio che a questo giro Corbellini e compagni abbiano trovato la combinazione perfetta tra ricerca sonora e potenziale hit single, inanellando una serie di brani che promettevano già dal primo ascolto di far sfracello sui palchi.
È quello che è successo, in effetti, con la prima parte dedicata in toto all’album, eseguito dalla prima all’ultima traccia, e le varie “Io non lo so”, “Piramide”, “Statonatura” (il riff di chitarra del ritornello è stato tra le cose più apprezzate della serata), “Giallo” e compagnia bella, a suscitare l’entusiasmo dei presenti.
Band in palla, come del resto è sempre stata, senza strafare e cambiare più di tanto i pezzi, riesce comunque a dar loro un tiro superiore alla versione in studio, con un’ottima gestione delle dinamiche, un drumming potente (Giovanni Dodini è un mostro di precisione), un’interazione perfetta tra Synth e chitarre (Giulio Patarnello fa davvero un ottimo lavoro, affiancato dal bassista Andrea Cadel, che non disdegna qualche saltuaria incursione alle tastiere). Anche la resa sonora è risultata positiva, se si eccettua la voce fin troppo dentro il mix generale (ma credo che qui si sia trattato di scelta artistica).
Sarà anche vero, dunque, che è Carlo Corbellini a scrivere i pezzi, ma poi quello che ascoltiamo è il frutto di quattro amici straordinariamente bravi e affiatati.
Terminato Pista nera, i nostri si lanciano nel vecchio repertorio, e qui l’ascolto di “Vietnam”, “La mia bolla”, “Televendite di quadri”, “Cuore semplice” o la lunga, splendida, “Viale Santissima Trinità”, ci mettono ancora una volta davanti al fatto compiuto di una band di prima grandezza.
È bello anche vedere come il pubblico canti a squarciagola queste canzoni, che pure risalgono ad un periodo in cui c’era minore esposizione: vuol dire che tutto questo non è frutto di effimere dinamiche da Social, ma che c’è una vera e propria fanbase su cui contare.
Unico neo, il fatto che come bis vengano eseguite due canzoni in precedenza già suonate (“La mia bolla” e “Statonatura”, questa volta accompagnata da un bel pogo liberatorio): con il repertorio vasto che hanno adesso, era lecito aspettarsi un paio di titoli in più.
Gran concerto, coi Post Nebbia che si riconfermano validissimi anche in sede live e ci fanno venire voglia di rivederli in un posto un po’ più comodo (e perché no, magari anche un po’ più grande).
Magari tutto questo finirà davvero, prima o poi, ma se non altro si potrà dire che le giovani generazioni hanno fatto di tutto per tenersi stretta questa bellezza.