Possiamo definire questo 2020 in molti modi (e quasi nessuno in senso positivo): a seconda dell’esperienza di ognuno, le metafore che possono giungere alla mente sono differenti. Nel caso dei Bring Me The Horizon, essendone da sempre appassionati, le analogie scelte sono state quelle con il mondo dei videogame. Non per nulla, infatti, il primo dei 4 EP della serie Post Human (che verranno pubblicati tra 2020 e 2021) ha preso il nome di Survival Horror, ovvero quella categoria di videogiochi basati sulla sopravvivenza di un personaggio che si muove all’interno di un’atmosfera di paura e suspance. Piuttosto azzeccato, non trovate?
Ebbene, il protagonista di questo cinico gioco del destino potrebbe essere chiunque di noi: eroe, sopravvissuto o passante che, nell’atmosfera distopica, apocalittica e ipertecnologica in cui ci troviamo, non si rende conto di essere ormai post-umano. Il termine, diffuso tra i neologismi del XXI secolo, identifica il fatto che oramai nella nostra naturale biologia di esseri umani interveniamo profondamente: chip, sensori, protesi e apparati tecnologici delle più diverse tipologie fanno parte di noi. Dentro e fuori dal nostro corpo abbiamo a che fare con una tecnologia che determina il nostro modo di relazionarci al mondo: una protesi all’anca, un bypass, un paio di occhiali per la realtà aumentata, un telefono, la ricerca di informazioni sui social e su internet, sono tutti modi in cui la tecnologia ci permette di vivere più a lungo, conoscere più cose o semplicemente interfacciarci in maniera diversa a ciò che abbiamo intorno.
Rimaniamo animali (o animali sociali, come direbbe Aristotele, anche se sempre più costretti all’isolamento), ma in questa maniera è come se fossimo «usciti dall'evoluzione e dalla catena alimentare. Se possiamo farlo», ha affermato Oli Sykes in un’intervista a NME, «allora possiamo assumerci la responsabilità di ciò che abbiamo fatto al pianeta e diventare qualcosa di meglio di ciò che gli umani sono adesso».
Oli Sykes, frontman dei Bring Me The Horizon, sta vivendo come tutti noi questo calderone di paura alimentata da adrenalina, frustrazione, noia e incertezza e, sin dalle prime interviste rilasciate alla stampa, non ha usato mezzi termini: «Il mondo non ha bisogno di musica pop leggera in questo momento, ha bisogno di inni per la rabbia». Post Human, infatti, è l'equivalente sonoro di una rivolta: «Non è il momento di dire "Questi giorni passeranno" e "Andrà tutto bene", perché non andrà tutto bene a meno che non facciamo qualcosa al riguardo».
Com’è quindi la colonna sonora di questo mondo pandemico con gravi tendenze postumane? Contiene tutte le influenze possibili: salta di genere in genere, sperimenta con i più diversi tipi di suono, si avvale delle collaborazioni più disparate (Yungblud, Nova Twins, Amy Lee), comprese quelle più strane (Babymetal), conferma una forte tendenza elettronica e allo stesso tempo torna ad essere violento, metal-oriented e arrabbiato, facendo tornare ad urlare a squarciagola Sykes, come non succedeva dai tempi di Sempiternal (2013). Rabbia e speranza, consapevolezza e azione, analisi e reazione.
E come rendere al meglio questo clima da videogioco survival horror all’interno dell’album? Oli Sykes, che assieme al tastierista e seconda voce Jordan Fish influenza gli orientamenti sonori della band, non ha avuto dubbi: l’atmosfera doveva essere simile alla colonna sonora del videogioco Doom Eternal, a cui Oli giocava mentre scriveva “Parasite Eve” assieme a Jordan: greve, cyberpunk, distopica, ma con una pesantezza che fosse ancora più pervasiva del semplice metal. E quindi, perché non chiamare chi quella colonna sonora l’ha composta e prodotta? Mike Gordon. Fortunatamente, da fan della band, ha accettato con piacere di collaborare con i Bring Me The Horizon, quindi, se la biblioteca di suoni che vivrete vi piace, oltre a Jordan Fish, ringraziate lui.
Parlare del presente comprendendone il tumulto e mantenersi al contempo sempre rivolti al futuro, inglobandone tendenze e sonorità, non è cosa da poco, ma Post Human: Survival Horror riesce a sintetizzare queste dimensioni in soli 32 minuti e 9 canzoni, sia nei testi sia nelle molteplici influenze musicali scelte, creando qualcosa che sarebbe molto riduttivo definire come un semplice EP.
L’esperienza inizia rispondendo in pochi secondi ai detrattori di quel capolavoro che è Amo (2019) e a chi credeva che i Bring Me The Horizon non fossero più in grado di urlare e realizzare musica pesante, perché “Dear Diary,” non si può che definire metal, dimostrando come questi ragazzi di Sheffield, Yorkshire, sappiano fare tutto, ma solo quando serve e quando hanno voglia di farlo.
Rispetto ai testi, che descrivono la quotidianità pandemica, si può trovare anche interessanti allusioni al famoso videogioco Resident Evil: all’interno di una villa viene trovato un diario, che descrive un'infezione da T-Virus scritta da un ricercatore che ne subisce il processo; quando l'autore delle pagine soccombe all'infezione, l'ultima frase recita: “Irritante. Gustoso". La stessa battuta che ritroviamo all’interno del testo della canzone.
«Caro diario, non so cosa stia succedendo, ma sta succedendo qualcosa. Il cane non smette di abbaiare e penso che la mia TV sia guasta: ogni canale è uguale, mi sta facendo impazzire. E prima qualcuno mi ha morso, che cazzo di giornata. Il cielo sta cadendo, è fottutamente noioso. Sto andando fuori di testa, isolato. Dio è uno stronzo e noi siamo i suoi rifiuti. Traumatizzato per la colazione, non riesco più a sopportare il survival horror. Caro diario, il cane ha smesso di abbaiare, probabilmente perché gli ho mangiato la faccia. "Gustoso, irritante", la TV dice che non c'è più la razza umana. Un po’ triste che la mia intera esistenza sia stata uno spreco. Ah, non importa, non è la fine del mondo, oh, aspetta…». (“Dear Diary,”)
Il brano successivo, “Parasite Eve”, è il vero e proprio inno di questa pandemia e di questo anno, incredibilmente ancora fresco e attuale nonostante sia uscito a giugno: a livello sonoro riprende l’ottima sperimentazione elettronica di Amo, impreziosendola con riferimenti heavy e il brivido cortese e glaciale di una voce semi-cibernetica che recita sin dalle prime strofe: «Per favore mantenete la calma, la fine è arrivata. Non possiamo salvarvi. Godetevi il viaggio».
Anche in questo caso i riferimenti ai videogiochi survival horror non mancano, questa volta da un videogame del 1998 (tratto da un romanzo di fantascienza giapponese del 1995, Parasite Eve), il quale racconta la storia di una poliziotta che sta combattendo contro un'entità biologica chiamata Eve, formatasi quando una cellula mitocondriale mutata si è evoluta ed è diventata consapevole di sé. L’entità inizia in poco tempo a distruggere l’umanità facendo bruciare le sue vittime per autocombustione e mira a dominare tutto gli organismi della Terra.
«Ho la febbre, non respirarmi addosso. Non credo in nessuno. Non mi lascerai andare perché ho visto qualcosa. Spero di non starnutire, non…(*starnuto*). Quando dimenticheremo l'infezione, ricorderemo la lezione? Metti in quarantena tutti quei segreti, in quel buco nero che chiami cervello, prima che sia troppo tardi. In realtà vogliamo solo urlare qualcosa, pretendiamo solo di credere in qualcosa. Puoi chiudere a chiave le tue porte, sì, ma non puoi continuare a lavarti ancora le mani da questa merda. Quando tutte le risorse e gli amici del re non distinguono i loro culi dai loro agenti patogeni. Quando la vita è una prigione e la morte è la porta. Questo non è un avvertimento, questa è una guerra. Se la suspense non ti uccide, lo farà qualcos'altro». (“Parasite Eve”)
“Teardrops” prosegue il viaggio come una delle punte di diamante del disco, nonché come la canzone preferita di Oli Sykes stesso. Il sound richiama inequivocabilmente i Linkin Park, ma il risultato è molto di più di un semplice riferimento a quel tipo di nu metal: cresce con gli ascolti, ti entra in testa, va in loop nelle casse, richiamerà un mosh pit da paura non appena sarà possibile tornare a vivere qualche concerto, ed è il classico brano in cui senza volerlo ti ritrovi a cantare «Oh, God, everything is so fucked» con una dose di adrenalina in corpo che metà basta.
L’affetto di Sykes a questo brano è però dovuto principalmente al testo, in cui si descrive com’è crescere in un’era dominata dalla dipendenza alla tecnologia, dall’ansia e dalla depressione; fattori che, all’interno di un obbligo all’isolamento persistente, non fanno che peggiorare la situazione mentale di chi già li viveva.
«Lacrime. Ci feriamo per divertimento. Alimenta la nostra paura finché i nostri cuori non diventano insensibili. Dipendenti da un tipo di amore solitario. Quello che voglio sapere è come siamo così stressati, paranoici. Sta diventando tutto buio. Niente mi rende più triste della mia testa. Sto finendo le lacrime, lascia che faccia male finché non si ferma. Non riesco a mantenere la presa, sto scivolando via da me stesso. Oh, Dio, è tutto così fottuto, ma non riesco a sentire niente. Il vuoto è più pesante di quanto pensi. Stato d'animo suicida, violento, tragico. Ho perso la mia aureola, ora sono il mio stesso anticristo». (“Teardrops”)
Dopo tre tracce di alto livello, la quarta, “Obey”, non è da meno, ma stavolta inaugura la prima collaborazione artistica, quella con il talentuoso e folle Yungblud. La canzone mette a tema l'oppressione che le persone subiscono a causa della gestione politica messa in atto dai leader mondiali. Le forme di controllo realizzate dall’autorità nelle nostre società occidentali, infatti, non sono sempre palesi, ma si basano prevalentemente sulla comunicazione e sulla nostra fruizione delle notizie, in particolare quelle traumatiche e devastanti, a cui siamo sempre più desensibilizzati, tanto che qualsiasi cosa succeda non porta in genere ad alcuna reazione o azione proattiva, quanto piuttosto ad un pigro e persistente sonnambulismo.
«Obbedisci, speriamo che tu abbia una bella giornata. Obbedisci, non vuoi che usciamo a giocare ora. Non c'è niente da vedere qui, è tutto sotto controllo. Stiamo solo giocando d'azzardo con la tua anima. Obbedisci, qualunque cosa tu faccia, basta solo che non ti svegli e senta l'odore della corruzione. Obbedisci, ti mostreremo come comportarti. Obbedisci, è più bello quando non puoi vedere le catene. Obbedisci, speriamo che tu abbia una bella giornata». (“Obey”)
La successiva “Itch For The Cure (When Will We Be Free?)” funge da intermezzo elettronico sperimentale (per il gran divertimento di Jordan Fish), omaggiando il senso di ciò che fu il brano di “Cure for the Itch” per Hybrid Theory dei Linkin Park. In questo caso, però, la traccia non fa da ponte ad una cover di “Pushing Me Away”, ma alla folle canzone in collaborazione con Babymetal (nota band giapponese che unisce j-pop e metal): “Kingslayer”. Qui i suoni alla Pendulum/Prodigy si uniscono al trancecore in stile Enter Shikari delle origini, ma con un tocco j-pop (letteralmente, visto che un paio di versi sono anche cantati in giapponese).
Paura che il risultato sia più pazzo di quanto le vostre orecchie possano accettare? Forse, ma bisogna ammettere che è piuttosto riuscito e, incredibilmente, funziona bene all’interno dell’album.
“1x1”, realizzata assieme alle Nova Twins, è forse il brano più tradizionale e mainstream di tutto il disco, ben confezionato ma, comparato ai picchi raggiunti dalle altre tracce dell’album, risalta meno e passa leggermente inosservato. A livello di testo, invece, riprende alcuni dei concetti espressi su “Teardrops”, sottolineando come spesso la quarantena riporti alla mente ricordi oscuri e paranoie, da cui non sempre è facile uscire da soli; anche se Sykes ha dichiarato che tratta principalmente del senso di colpa che ci portiamo dietro come società, a causa di quello che abbiamo fatto ad altre specie, etnie e generi (devastazione ambientale, razzismo, omofobia).
In quest’ultima accezione si occupa dello stesso tema anche l’ultima canzone dell’album, “One Day the Only Butterflies Left Will Be in Your Chest as You March Towards Your Death”, scritta assieme ad Amy Lee degli Evanescence, una magnetica e inquietante ballata in cui la voce di Oli (che rappresenta l'umanità) e quella di Amy (che rappresenta Madre Natura) si intersecano con eleganza per descrivere una fine del mondo imminente («Pensavo avessimo un futuro, ma non abbiamo nessuna possibilità all'inferno») in cui si chiede a chi li ascolta di provare assieme a loro a trovarne uno nuovo.
Prima di questa però, con la penultima traccia, “Ludens”, si torna al noto, visto che il bellissimo brano è stato per mesi il singolo di punta dei Bring Me The Horizon, realizzato per la colonna sonora del videogioco Death Stranding, realizzato dalla Kojima Productions. Il gioco è ambientato in una versione post-apocalittica degli USA, devastata da “creature arenate” che hanno portato sulla Terra una particolare pioggia, Timefall (da cui prende il titolo la colonna sonora in cui la canzone è stata ospitata), la quale ha la capacità di manipolare il tempo di tutto ciò che tocca: le piante germogliano e crescono ad una velocità estrema, mentre gli uomini e gli oggetti ne vengono deteriorati, invecchiando precocemente.
«Alcuni resistono al futuro, altri rifiutano il passato. Ad ogni modo, è un casino se non riusciamo a scollegare il fatto che un mondo coperto di cavi non è mai stato cablato per durare. Quindi non essere così sorpreso quando il programma inizia a bloccarsi. Come faccio a stabilire una connessione quando non possiamo nemmeno stringerci la mano? Sei come un fantasma che mi saluta. Tramiamo nell'ombra, ci ritroviamo nell’umorismo macabro, bloccato in un ciclo per l'eternità. Sai perché i fiori non sbocciano mai? Riproverai o lascerai che il dolore riprenda?» (“Ludens”)
Riguardo alla scelta del nome Ludens, inoltre, è utile sottolineare come questo non si riferisca solamente al nome scelto da Hideo Kojima per la nuova “mascotte” della Kojima Productions. Lo stesso Kojima lo ha tratto dal noto testo di Johan Huizinga, Homo Ludens, in cui lo studioso cerca di dimostrare e spiegare come il concetto e il principio del gioco siano elementi innati nell'agire umano, tanto che ogni azione, fenomeno culturale e organizzazione sociale umana possono essere ricondotti all’atto del giocare.
E chiunque abbia mai giocato nella sua vita (spero tutti voi), sa quanto sia un’azione tanto semplice quanto forte, radicale ed egalitaria. Giocare con qualcuno significa mettersi sul suo stesso piano, senza distinzioni di genere, etnia e cultura, per essere liberi insieme almeno entro il tempo del gioco.
Un gioco che può essere crudele, leggero, spietato, stupido, intelligente o divertente, ma che con le sue regole porta ordine anche dove non c’è, inventandole, e trovando così nuovi modi per gestire il caos.
Giocare è una fuga, ma anche uno spazio di pensiero, confronto e riflessione sulle dinamiche. Si entra in un altro mondo per poi ritrovarsi a ripensare a quello in cui si vive sotto una luce diversa. Questo in fondo significa giocare ad un videogame di alto livello, ma anche giocare dietro ad uno strumento musicale, producendo e creando nuovi suoni, collaborando con artisti che stimolano la propria creatività, trovando nuove vie all’interno della propria modalità espressiva, sperimentando qualcosa semplicemente perché piace e se ne ha voglia.
Giocare è una cosa seria e i Bring Me The Horizon, con Post Human: Survival Horror, hanno giocato seriamente, su tutti i livelli: con i suoni, con altri artisti, creando analogie e non perdendo mai la capacità di leggere e interpretare ciò che hanno attorno.
Ora ci stanno invitando a giocare con loro, per questi 32 minuti e per i prossimi EP che verranno. Noi abbiamo deciso di accettare e di andare a divertirci – seriamente – con loro. E tu? Vieni a giocare assieme a noi?