Per scrivere di Porto Rubino ho bisogno del mare. Così scrollo le foto salvate nella memoria del telefono, mentre intorno a me il paesaggio (inquadrato attraverso il finestrino del pullman che mi sta riportando a Roma) è una catena ininterrotta e impenetrabile di fitta boscaglia, il cui unico squarcio sul mare lo offre all’altezza di Napoli.
E invece, per parlare del festival musicale nato dalla creatività artistica del cantautore Renzo Rubino, c’è bisogno di fissare l’orizzonte infinito delle acque pugliesi, i suoi porti avvolti dai colori arancio-rossastri del tramonto, i vecchi fari illuminati da una luce viola pronti a vegliare sulle rotte dei naviganti rischiarando la notte, disseminata di stelle; adocchiando luci verdi nascoste qua e là, tra lo sciabordio delle onde, rapiti dal riflesso delle lampare che si muovono a pelo d’acqua.
Porto Rubino è una suggestione, un progetto prima ancora che un semplice festival: è la volontà di dar voce al mare e alla sua musica, calando gli ospiti in una dinamica insolita, nella quale il suo anfitrione (“Re” Rubino stesso) si muove a suo agio esattamente come un pirata o un tritone, creatura che sul mare (e nel mare) vive e da quest’ultimo trae ispirazione, ascoltando le sue storie ancestrali.
Il vento di maestrale ha soffiato sulla sesta edizione
“Vento di maestrale/ Spinge e pulisce il mare/ Ma, sottovento, son qui/ Consumando onde che tagliano la pelle/ Naufragandomi (…)” è l’inizio della canzone omonima - nonché sigla - della rassegna, una sorta di ninna nanna che si trasforma ben presto in un’invocazione, una preghiera rivolta al mare e alle sue acque benefiche, nelle quali abbandonarsi per poter rinascere mentre la corrente fa il suo corso, forte di segreti che noi umani possiamo solo continuare ad ignorare: “Porto Rubino, aiutami/ Anche guardarmi, salvami/ Portami a casa finché ci sarà/ La voce del mare che da lontano mi abbraccerà (…)”.
Il festival ha avuto inizio nel 2019, ma mai come quest’anno ha indossato il suo abito più bello mostrando le innumerevoli sfumature che da sempre ne costituiscono la propria, sfaccettata, essenza. Ecco quindi un viaggio ideale diviso per capitoli di un romanzo d’avventura ancestrale che si snoda tra Poeti, Pirati, Sirene e Rose dei venti (licenza poetica plurale, ça va sans dire) per quattro porti cardinali della Puglia, che attraversano la regione da nord a sud: Vieste, Giovinazzo, Monopoli e Tricase.
Un viaggio lungo la rotta del mare inseguendo la bussola della creatività, guidati dalle stelle della musica grazie al coinvolgimento degli ospiti, che si sono messi in gioco consapevoli di ritrovarsi su una barca sospesa sul mare, con una dimensione acustica imprevedibile dominata dall’improvvisazione, dal cambio di programma repentino che si insinua in una scaletta fino a riscriverla e stravolgerla, se necessario.
Il blu profondo del mare attraversa il cantautorato di ieri e di oggi
In particolare, quest’anno Vieste è stata la tappa delle prime volte: primo approdo del tour in ordine di apparizione e in territorio garganico, ma anche prima volta della sottoscritta nella cittadina sulla quale aleggia un romanticismo malinconico e crepuscolare, complice la leggenda di Cristalda e Pizzomunno, infelici amanti divisi dalla gelosia (delle sirene) e destinati ad aspettarsi per una vita intera, tranne forse un’unica notte d’agosto durante la quale si possono ritrovare, ogni cento anni.
La sera della data d’inizio di Porto Rubino, au contraire, è fissata per metà luglio (il 15, NdA), il cielo è terso e una luna crescente illumina la banchina altrimenti buia, se non fosse per le luci che decorano il caicco, pronte a dondolare pigramente seguendo il rullio delle onde, mentre a breve si esibiranno i Poeti, i cantautori che fanno da ponte tra il passato e il presente di una tradizione (quella cantautorale italiana) reinterpretata da ognuno in modo personale e atipico.
A supportare i set rigorosamente acustici c’è la resident band di Porto Rubino, un manipolo di eccezionali musicisti così diversi tra loro da creare un sound unico, imprevedibile e mutevole, nato tra le onde e figlio del mare sul quale bascula il caicco in quel momento. Fabrizio “Faco” Convertini (basso), Roberto Esposito (piano), Fabrizio Semerano (batteria), Egidio Marchitelli (chitarra) accompagnano molti dei cantautori che si esibiscono, ma il fuori programma è la regola aurea, la rotta da seguire per intrattenere il numeroso pubblico accorso sulla banchina e farlo entrare nel gioco creativo, abbandonandosi infine all’estasi dionisiaca della musica.
Passato, presente, omaggi e contaminazioni nel live di Vieste
Sotto le stelle di una notte unica i RaestaVinvE aprono l’evento, introducendo il padrone di casa e l’inconfondibile sigla che inaugura l’inizio di questa nuova stagione; è appena scesa la sera, il cielo scivola dall’amaranto al blu e un pescatore continua a disturbare gli abitanti del mare tra sporadici brandelli di luce naturale, mentre quelle artificiali sul caicco si accendono aprendo ufficialmente le danze.
Elasi, promessa della musica elettronica, rielabora le sue composizioni in chiave acustica, unica sirena della serata; Joe Barbieri, erede spirituale (e musicale) della scuola napoletana di Pino Daniele, travolge con l’eleganza del jazz e le struggenti parole (a cappella) di "Lacreme napulitane" che fanno commuovere il pubblico, sopraffatto dall’emozione inattesa.
Le successive apparizioni di Dente e Riccardo Sinigallia sono rare e preziose, incarnazioni della classe di un cantautorato moderno che ha permesso a quello contemporaneo di esistere; i due autori senza i quali non avremo avuto un salto generazionale nel modo di scrivere, arrangiare e percepire la musica al giorno d’oggi sono ospiti sulla stessa imbarcazione per una notte unica, e la sensazione è come di poter riavvolgere il nastro del tempo percorrendo, tutti insieme, una storia che finisce per coincidere con le vicende di ognuno di noi, toccati personalmente almeno una volta dai loro testi, da quelle melodie o dalle armonie delle loro canzoni.
Dente, che ironizza maliziosamente sul suo essere creativo “solo quando sta male”, regala invece al pubblico di Vieste un brano che canta quando è felice, nei momenti belli, sancendo col le parole di "Questa libertà" anche la nostra, di cantare stonati e contenti con solo il cielo a giudicarci; d’altra parte Sinigallia sfrutta l’intimità della circostanza tessendo un fitto dialogo tra musica e parole, trascinando il pubblico nella nostalgia romantica de "La descrizione di un attimo" (amarcord di altri tempi, musicali e non solo) e nel cuore della sua esistenza da autore, produttore e anche compositore di colonne sonore, con l’arrangiamento del classico di Enzo Carella "Malamore", già inserita nella OST del film Lo Spietato, diretto da Renato De Maria.
Gli ultimi due set sono, invece, quelli più densi e sfaccettati: sarà complice anche l’ora tarda, ma la stanchezza che inizia a serpeggiare tra il pubblico viene soppiantata dalla voglia di lasciarsi attraversare dalla musica, dal caos danzante esattamente come una delle stelle che illuminano la notte, con i presenti pronti a farsi colpire dalla musica, travolti da un’improvvisa estasi estiva che profuma di afa e salsedine.
I primi a salire sul palco nella fase clou della serata sono Colapesce e Dimartino, che arrangiano ex-novo la scaletta del loro (lungo) tour estivo Lux Eterna Beach per adattarsi alla dimensione acustica: così, tra chitarre solitarie e brani che chiamano a raccolta la resident band di Porto Rubino, fanno ballare il pubblico sui loro successi più premiati, "Musica leggerissima" e la liberatoria "Splash", senza dimenticare brani tratti dall’ultimo album e perle dal precedente I Mortali. A chiudere il set, non può mancare un omaggio a due cantautori che hanno segnato la musica italiana, ovvero Ivan Graziani e Franco Battiato: da una parte "I marinai", regalo della famiglia Graziani ai due artisti siciliani, dall’altra "Bandiera Bianca", come a voler sottolineare ancora una volta quel filo sottile che tiene unita la scena della musica leggera di ieri con quella di oggi, lasciando che il mare attraversi i pensieri e le parole dei poeti contemporanei.
L’onere di chiudere la serata spetta invece a Mannarino: l’artista romano è al lavoro su nuovi brani ma non poteva declinare l’invito di Renzo Rubino sul suo caicco, e così non ha esitato ad adattare gli “standard” del suo repertorio per l’occasione, regalando momenti di goliardico abbandono al pubblico accorso sulle note “pizzicate” (e contaminate) di "Scetate vajò o Me so ‘mbriacato", senza trascurare la struggente malinconia – tipica della tradizione romana – insita nelle parole “lacrimose” e toccanti della sua "Statte Zitta!".
Un festival pirotecnico come un fuoco d’artificio tra le stelle
E con una prima tappa conclusasi nel cuore della notte di una Vieste illuminata a festa, non posso fare a meno di fissare Renzo Rubino, l’anfitrione e demiurgo della serata, mentre si prepara a lasciare la banchina del porto, stanco ma soddisfatto; pirata scalzo sbalzato all’improvviso via dalla sua dimensione naturale, ovvero quel caicco cullato dal dondolio delle onde scure. E a quel debutto sono seguiti altri incontri, altri momenti unici e inimitabili, ognuno da ricordare per un frammento specifico, per un episodio accaduto o per un’atmosfera particolare che sembrava investire, febbrilmente, l’intera area del porto ospitante.
A Giovinazzo, nella ciurma dei Pirati guidati dallo stesso Rubino (mai così a suo agio nella dimensione sospesa tra terra, mare e musica) tra la grinta senza tempo di Nada e il ritorno guascone di Mannarino, c’è stato il tempo per un bagno fuori programma da parte di Piero Pelù, che invece del più tradizionale stage diving rock ‘n’ roll ha optato per un tuffo improvvisato alla fine del concerto, per concludere in modo pirotecnico l’arrembaggio del giorno.
A Monopoli, invece, l’unica voce che si poteva sentir rimbalzare tra i vicoli dedalici della cittadina era quella delle Sirene, sensuali ammaliatrici che sussurravano all’orecchio di viaggiatori, curiosi e turisti storie di mare sospese tra passato e presente, tra l’eleganza mozzafiato di Drusilla Foer, la strabiliante grazia canora di Arisa e la contemporaneità sfacciata di Ditonellapiaga o di Gaia, la “sirena” del momento in questa torrida stagione estiva.
Per chiudere in bellezza l’esperienza di Porto Rubino, il pensiero però non poteva che correre al concetto stesso di miscellanea, di pastiche musicale affascinante e difficile da catalogare, coinvolgendo tutti i presenti al porto di Tricase in una grandissima festa d’ensemble sotto le stelle, tra i dj set di Mace e Populous e le performance inaspettate degli astri nascenti Lucio Corsi, Marco Castello e il talento consolidato di Malika Ayane, signora (e sirena) della scena contemporanea.
Di musicisti ne sono saliti tanti (molti di più di quelli citati) sulla barca di Porto Rubino nel corso di questa edizione 2024; un festival pirotecnico come un fuoco d’artificio lanciato tra le stelle, pronto a rischiarare il cielo notturno tracciando un confine ideale con il mare, del quale però non dimentica esigenze e fragilità: è un’occasione in più per parlarne, per discutere di sostenibilità, per godersi la musica puntando anche i riflettori sull’ambiente e su quello che si può fare per preservarlo, come uno scenario prezioso che altrimenti rischiamo di perdere, scenografia naturale dei ricordi più belli di molti di noi. Soprattutto di chi, almeno per una sera, ha avuto la fortuna di unirsi alla ciurma di Porto Rubino, dondolando dolcemente al ritmo di una storia del mare antica che raccontava di sirene, pirati, poeti e rotte imprevedibili verso l’ignoto e l’avventura, ben oltre il confine dell’orizzonte infinito.