Il fatto che io non ami molto le esecuzioni dal vivo, anche quando si tratti di Thelonious Monk o di Miles Davis, credo sia una garanzia.
Per Marc Almond posso affermare che talune sue esecuzioni in pubblico sono essenziali. Ma forse il dettaglio non sorprende se si considera la dimensione eminentemente “da palco” di questo artista, nella quale appena i riflettori si spengono le pietre preziose tornano ad essere solo lustrini.
Il che spiega anche quella fascinazione per la Spagna di Almond: lui ragiona con quella serietà e quella drammaticità di chi si espone alla gloria e al rischio con indosso solo un traje de luces: il torero.
Arrivava dal nord Marc Almond, a Londra, insieme al sodale Dave Ball, dopo quel Futurama a Leeds e un EP autoprodotto (raro e molto falsificato) sotto lo pseudonimo collettivo di Soft Cell.
Cosi nel suo bagaglio di note aveva non solo il punk e i suoi post(-umi), ma anche gli echi del Wigan Casino e dei soul boys dalle mani sporche di talco per rotare in pista come dervisci elettrici nella tenebra del fine settimana.
Le illazioni sugli orientamenti sessuali di Marc Almond provvide lui stesso a dissiparle, in maniera sempre più manifesta, man mano che il successo (davvero inspiegabile) del floor filler “Tainted Love” scemava pur rivelandosi un long seller da primato.
Intanto, con il loro manager Stevo i Soft Cell affrontavano schizofrenicamente la scena musicale: album non facili (anche il primo) e singoli da pista da ballo (ma che dire di “Say Hello, Wave Goodbye” o della monumentale1 e totemica “Torch”?).
In effetti, ho problemi a indicare una scelta di partenza al neofita, in quanto almeno una decina di album si presentano siccome imprescindibili2.
Anzi, addirittura la raccolta in triplo CD delle extended version di canzoni dei Soft Cell si rivela importante.
In una visione artistica di kitchen sink drama, Morrissey lascia in sottofondo scontato il fatto che il rubinetto del lavandino sgocciola.
Ebbene Marc Almond riesce – anche – a raccontarvi quel rubinetto. Ma egli riesce, altresì, a rendervi partecipe di serate effimere epperò piacevoli. Insomma per me (e senza fare paragoni ulteriori) Almond è un artista molto completo capace di avventurarsi in generi che solo la sua voce, che voce!, può affrontare con impegno ma senza timori reverenziali superflui.
Per una volta, mi concedo una sintesi, proprio perché è una contraddizione in termini, ma prevede, appunto, la conoscenza dell’intera sua carriera: se volete ascoltare una sola canzone di Almond (e Ball), allora affidatevi a “Youth” dei Soft Cell, con testo in contemporanea lettura.
Poi ne riparliamo.
1 È uno di quei casi in cui la versione del 12” è quella che conta.
2 La campata degli album e dei singoli che si presenta al mio sguardo è impressionante, ma gli scarti sono minimi. In modo assolutamente parziale, rammento per esempio che Open Up All Night del 1999 (ristampato tempo fa in versione di doppio CD) contiene un duetto con Siouxsie. Della sua passione per Jacques Brel già ho scritto. Purtroppo per il neofita la pletora di versioni disponibili - in quello che rimane il formato di riferimento, il Compact Disc – può sconcertare (più che con The Associates) anche perché la “regola del più recente” – che comunque consiglio di seguire - può confliggere con le scelte dell’artista, che osteggiò alcune riedizioni.