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REVIEWSLE RECENSIONI
29/10/2018
Finister
Please Take Your Time
Probabilmente hanno ragione loro: in un mondo dove tutto è frenetico e dove sembra che lo spazio per fruire e assimilare sia ridotto all’osso, ci consegnano un lavoro che volutamente cambia i punti di riferimento ed invita a confrontarsi con qualcosa di diverso rispetto a quello che potevano essere le nostre idee precostituite.

Difficile prevedere un’evoluzione simile per i fiorentini Finister, almeno per chi avesse familiarizzato all’epoca con “Suburbs of Mind”, il loro disco d’esordio. Vivace ma canonico, quel lavoro mostrava una band in grado di confrontarsi col panorama internazionale, di contaminare il proprio rock di matrice britannica con aperture melodiche e strumenti come il sax, ma rimanendo nel complesso ancorati a modelli precostituiti.

“Please, Take Your Time” arriva tre anni dopo e già dal titolo mette in chiaro di voler essere qualcos’altro: di più rilassato, forse, ma anche di meno immediatamente fruibile. La collaborazione con un nome importante come Howie B, che ha lavorato tra gli altri con U2, Bjork e Tricky, mette sicuramente in luce la volontà di esplorare nuovi territori.

Non c’è il Trip Hop, come il nome in questione avrebbe di fatto suggerito ma c’è un’indubbia apertura ad un maggior uso dell’elettronica, unito a sonorità languide, minimali e avvolgenti. Se l’iniziale “Lighter”, uno dei due singoli apripista, funge da ideale ponte tra i due lavori, avendo il suo fulcro nel ritmo incalzante e in un ritornello efficace dal sapore Brit Pop, già le successive “A Free Bug” e “I Know That I Can Be With You”, presentano un andamento più piano e una predominanza di Synth su chitarre pulite, ad evocare atmosfere riflessive e nostalgiche.

C’è una maggiore complessità sonora anche in “Pan Tribal”, riff geometrico e coda psichedelica, nel complesso uno degli episodi più tirati del disco.

L’invito a prendersi del tempo rispecchia proprio la natura di un lavoro multiforme, che nella sua durata contenuta abbraccia comunque diversi spettri sonori e che molto poco concede all’immediata fruibilità. Basti sentire “Vapor”, delicata ballad rivestita di un sax meraviglioso e caratterizzata da un mood sognante e da linee vocali decisamente riuscite.

La conclusiva “Skycrapers”, col suo Beat e il suo finale quasi Drum N Bass, mostra forse più di tutte la volontà di sperimentare da parte del quartetto toscano.

Probabilmente hanno ragione loro: in un mondo dove tutto è frenetico e dove sembra che lo spazio per fruire e assimilare sia ridotto all’osso, ci consegnano un lavoro che volutamente cambia i punti di riferimento ed invita a confrontarsi con qualcosa di diverso rispetto a quello che potevano essere le nostre idee precostituite.

Un gran bel lavoro. Impegnativo, certo. Ma forse vale la pena proprio per questo.