Se è vero che, in Italia più che altrove, le varie proposte musicali tendono a inseguire le sonorità che invadono il mercato del mainstream, è altrettanto vero che esiste da sempre un nutrito sottobosco che di certe logiche se ne frega esplicitamente e che cerca di modellare la propria visione unicamente sulla base delle inclinazioni personali. Arrivare, non dico al successo, ma anche solo ad un minimo di visibilità, con questo modus operandi è al giorno d’oggi pressoché impossibile. Ecco perché la progressiva esposizione mediatica dei Post Nebbia è una bella notizia: certifica che se un gruppo è bravo e possiede il giusto grado di accessibilità, prima o poi potrebbe anche raccogliere i frutti dei propri sforzi.
Arrivato al quarto lavoro in studio, il quartetto padovano ha smesso ormai di essere un segreto ben custodito, per divenire una delle band più rappresentative del nostro panorama indipendente; in più, ed è un fenomeno più unico che raro, ha saputo pescare sia dal pubblico ancora legato al vecchio rock indipendente, sia dagli ascoltatori provenienti dal variegato universo Urban.
Dopo Entropia Padrepio, che si interrogava sul ruolo della religione e della spiritualità nella società postmoderna, Pista Nera si sposta su un terreno per così dire “ecologista” (termine senza dubbio riduttivo ma è per rendere l’idea), tra cambiamento climatico e deturpamento del paesaggio alpino a favore dei “subiti guadagni”, per dirla col poeta. Non è un caso, infatti, che le montagne compaiano in quasi tutti i testi, e che il disco si apra in modo quasi surreale, con un’intro a base di Synth in cui una voce dal marcato accento veneto invita i genitori di un bambino smarrito ad andare a recuperarlo in un rifugio denominato “Pista Nera”: possibile allegoria di un rapporto perduto tra uomo e natura, di un’inadeguatezza a relazionarsi con ciò che ci supera da ogni parte?
Il tutto trattato sempre con la massima intelligenza e senza mai cadere in frasi fatte e luoghi comuni: del resto Carlo Corbellini, principale mente dietro al progetto, ha dimostrato già da tempo di essere molto più maturo e consapevole di quanto la sua giovane età farebbe pensare, e i suoi testi sono indubbiamente tra i più intelligenti e meglio scritti nel panorama italiano.
A livello più strettamente musicale, l’unica obiezione che si potrebbe muovere a questa nuova prova, è che non presenta differenze significative rispetto alle altre; una considerazione che implica peraltro, a livello di pars costruens, l’affermazione che il gruppo abbia ormai trovato una formula vincente che riesce ad essere oltretutto costantemente implementata e perfezionata.
Difficile, in effetti, riuscire a definire con precisione la proposta dei Post Nebbia, al contempo derivativa e perfettamente riconoscibile, un’impronta personale tipica di chi ha saputo far interagire in modo intelligente e non scontato le influenze più disparate.
Alle atmosfere psichedeliche e lisergiche date dai Synth sempre bene in evidenza, si aggiungono suggestioni a metà tra Post Punk e Garage, in questo caso specifico forse più presenti grazie a chitarre leggermente più robuste che in passato. A fare da collante c’è poi quella devozione ai Beatles di Revolver e Sgt. Pepper che è sempre stata in nuce nella musica dei padovani. Che a questo giro poi fanno le cose più in grande del solito, dosando alla perfezione l’equilibrio degli arrangiamenti e variando sapientemente le intenzioni dei vari brani, pur mantenendo costante l’elemento del groove (il lavoro della sezione ritmica è in questo senso portentoso).
Le linee vocali di Carlo sono come al solito azzeccate e hanno ormai assunto un’impronta che le rende perfettamente riconoscibili. Non c’è molta varietà tra una canzone e l’altra (in questo senso il rischio di risultare alla lunga monocordi, nonostante le numerose soluzioni interne, non viene neanche questa volta del tutto scongiurato) ma il livello è abbastanza alto da non farlo registrare come un difetto eccessivo.
Possiamo dunque affermare senza problemi che i Post Nebbia abbiano inanellato il quarto centro di fila e si siano definitivamente affermati come una delle realtà musicali più valide attualmente in circolazione in Italia. Seriamente candidati alla dimensione mainstream, potendo anche scommettere con una certa sicurezza che, dovesse avvenire, sapranno trovare il modo di non snaturarsi.