A Northampton, cittadina nel cuore dell’Inghilterra, il nome di Edgard Mobbs è una vera e propria leggenda. Capitano della squadra locale e della nazionale di cricket, morì eroicamente in Belgio durante la prima guerra mondiale nella battaglia di Ypres mentre, alla guida del settimo reggimento del Northamptonshire, un battaglione di 400 volontari denominato “The Mobbs Own” (in gran parte giocatori della lega cricket), assaltava, pistola alla mano, le linee nemiche. In suo onore prende il via la vicenda artistica dei Mobbs, singolare power trio formatosi alla fine degli anni zero per iniziativa del cantante/chitarrista Joe B. Humbled, il bassista The Bishop e il batterista Cheadle. Maniacale e ricco di humor l’apparato scenico, oltre l’agile attrezzatura strumentale sono soliti ostentare indumenti e accessori del tipico gentleman inglese: giacche e pantaloni di tweed, gilet, foulard e, se non fosse che devono trafficare su corde e tamburi, aggiungerebbero volentieri anche pipe, ombrelli e il Financial Times. I tre infatti sembrano provenire da una puntata di Downton Abbey oppure, tornando alla loro spiritual guidance, dal terzo tempo della finale del campionato di cricket del 1910. Facile a questo punto intuire il sound preferito dai tre mattacchioni, vintage come piovesse: Beat, Garage, R’n’B più altre reminiscenze fifties e sixties riproposte però con l’attitudine e la rapidità dei punkers di razza. Immaginate i Kinks, Graham Day e Wilko Johnson sullo stesso palcoscenico e avrete un idea abbastanza precisa di come suonano i Mobbs.
Piffle! segna il quarto capitolo della loro ancor giovane carriera (esordio datato 2011, It’s … The Mobbs), 14 canzoni nuove di zecca impregnate di energia e buon umore eseguite con personalità e perfetta conoscenza della materia, prediligendo in particolare la Medway scene (Dentists, Prisoners, i Thee Mighty Caesars di Billy Childish), il Mod revival dei Jam e i primi lavori dei Clash. Joe B. e compagni graffiano subito piazzando in apertura Mojo Degradation, pezzo che non faticherà a trovare consensi tra i fan vecchi e nuovi della band, Pub Rock rabbioso dalla ritmica esaltante con un riff micidiale che svisa dalle parti del Batman Theme di Standells e Jam. The Smoke, Not The Fire non rallenta il tiro, anzi, punta dritta e acuminata al midollo del Mersey Beat e agli esordi di Jagger & Richards. L’infettiva No Simpathy ci scaraventa indietro di quarant’anni, ancora al capolavoro dei Jam, In The City, la stella polare dei Mobbs. Già da queste prime tracce appare forte e chiaro che i tre se ne fregano delle mode di stagione, compongono canzoni che ci sono sempre state e sempre ci saranno, lo fanno attraversando i decenni con piglio beffardo, ma anche come chi ha ascoltato migliaia di dischi prima di accennare ad un solo accordo. Quando guardano oltreoceano s’appropriano delle sonorità originarie del Garage sul modello dei Sonics e dei Seeds e tirano fuori un classico istantaneo come la fantastica title track, un numero che può riuscire solo a dei fuoriclasse. Altrimenti si divertono con la Surf Music: Taste The Truth e la strumentale (e tarantiniana) Matador. Piffle! è tanto altro ancora e vale la pena scoprirlo ascolto dopo ascolto, il R’n’B urticante di Little Miss Hard Of Hearing, la beatlesiana Annie May, insomma, non ci si stanca mai. Sigilla l’operazione la benemerita Dirty Water, l’etichetta simbolo del Garage/Punk inglese. E, per concludere, in una recente intervista i Mobbs si sono vantati di aver fatto aumentare del 250% la vendita di cravatte e pettini per baffi in tutto l'impero: i Monty Python sarebbero orgogliosi di loro.