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MAKING MOVIESAL CINEMA
Piccole Donne
Greta Gerwig
2019  (Warner Bros.)
COMMEDIA DRAMMATICO
all MAKING MOVIES
05/02/2020
Greta Gerwig
Piccole Donne
E allora lo dico: ho guardato con il solito fastidio le polemiche per la mancanza di una regista donna fra i nominati agli Oscar, trovando il genere -come l'etnia, come la religione o la provenienza- un suffisso che proprio chi combatte battaglie per l'uguaglianza dovrebbe saper dimenticare.

Sono come Beth.
Fragile e timida.
Così mi approccio a Piccole Donne dicendo timidamente che non l'ho mai letto.
Non avevo nemmeno mai visto una sua versione cinematografia (no, nemmeno quella con Winona) o televisiva (no, nemmeno quella dell'anno scorso).
Lo dico piano, ma io non sapevo niente della storia.
L'avevo sempre evitata, maschiaccio qual ero.
Avevo sempre preso in giro la biblioteca materna piena di queste Piccole donne, Piccoli uomini, Piccoli Lord, Fanciulle in fiore... trovando i patemi di queste ragazzine romantiche ben distanti dai miei giochi, dalle mie letture fissate con Roal Dahl.
Quindi sì, questo è il mio primo Piccole Donne.
Per la prima volta ho conosciuto la famiglia March, ho capito la forza dirompente di Jo, fatto il tifo per lei, la sua indipendenza, i suoi sogni di scrittrice.
Per la prima volta sono stata nel Massachusetts in piena guerra e nella New York città di grandi speranze.
E me ne sono innamorata.

Sono come Amy.
Romantica e sognatrice.
Magari anche infantile nell'esserlo, ma ai batticuori per un amore che sta per nascere, per lo sguardo che si posa e il fiato che si spezza, io mi sciolgo.
E allora queste Piccole Donne che hanno i loro spasimanti, i loro dubbi, le guardo sognante.
Non mi interessa il matrimonio che possa salvare la famiglia March, ma un matrimonio d'amore.
Così ho tifato pure per quel gracile di Timothée Chalamet, per poi passare a Louis Garrel.
Guardavo e sospiravo.
Sospiravo per come questi amori -e tutti gli altri- sono tratteggiati, con quel romanticismo che passa pure per lì, per quella superficialità tipica di Amy ma che è fatta di abiti da sogno, dai colori, dalla fattura da invidia.
Ho amato e sofferto, mi sono in poche parole emozionata ad ogni svolta, ad ogni scelta, ad ogni battuta che -dalle risate del pubblico attorno a me- percepivo come rinomata.

Sono come Meg.
Pragmatica e pratica, ma pure capace di concedermi a qualche sfizio, qualche vanità.
Così lo dico tranquillamente: il cast è composto della meglio gioventù del cinema d'oggi, con tanto del meglio delle scorse generazioni.
Bellezze da invidia, sì, ma soprattutto una bravura nel calcare i panni di eroine ancora moderne per cui le varie nomination sono più che meritate.
C'è una Saoirse Ronan che strega lo schermo, con o senza capelli, nel passato e nel presente, in coppia o da sola.
C'è una Florence Pugh dalla voce incantevole, dall'aspetto fiero.
C'è una Eliza Scanlen che dopo Sharp Objects e Babyteeth torna nel ruolo della morente, ma come le si addice, come lo porta con grazia.
E infine c'è una Emma Watson più anonima di quel che si vorrebbe, più defilata, in favore di una materna Laura Dern, della solita vecchia Meryl Streep in fotocopia, e grazie al cielo che non è stata nominata per i suoi 5 minuti in scena!

E qui, subentra la pragmatica che è in me e in Meg di cui sopra.
Che guarda a questo cast meraviglioso e un po' ha da ridire.
Perché i 7 anni che passano da un Natale all'altro non si vedono, perché la Pugh è fin troppo matura per essere la bambina non invitata alle feste e infine, il tasto dolente: Chalamet. Che sì, mi fa una gran antipatia. Che sì, è un gran bravo a fare faccette e passetti di danza.
Ma il suo fisico quasi rachitico, di certo troppo gracile, rende poco credibile il suo fascino, il suo far coppia con attrici che rendono più evidente il suo essere esile.
Sono troppo fissata con il fisico io? Probabile.
Ma anche lo sguardo vuole la sua parte in un film che proprio per lo sguardo è un incanto.

Sono come Jo.
Una ragazza che vuole la sua indipendenza, che non ha paura di dire quel che pensa.
E allora lo dico: ho guardato con il solito fastidio le polemiche per la mancanza di una regista donna fra i nominati agli Oscar, trovando il genere -come l'etnia, come la religione o la provenienza- un suffisso che proprio chi combatte battaglie per l'uguaglianza dovrebbe saper dimenticare.Soprattutto se la categoria in questione contiene mostri sacri come Tarantino, Scorsese, Mendes, Bon Joon Ho al suo interno.
Ma ora che Piccole Donne l'ho visto, la polemica la posso anche fare mia.
Perché la mano di Greta Gerwig si sente per tutto il film.
Si sente in scelte di fotografia che lasciano a bocca aperta, si sente in inquadrature, movimenti di macchina, raccordi del montaggio, oggetti che si fanno memento, che fanno sussultare il cuore.
C'è una bellezza, c'è un rigore, c'è un romanticismo in queste Piccole Donne che sembrano davvero usciti da un libro, da un quadro.
E sono come Jo.
Una ragazza che ama scrivere, che vuole scrivere un gran bene.
E qui, non sapendo dove finisce la Alcott e dove inizia la Gerwig, posso solo dire grazie per una adattamento che gioca con il tempo, gioca con i ricordi e i parallelismi, dando alla storia una modernità ancora attuale.

Ma non sono del tutto come Jo, però.
Ovvero non son una fervida femminista, e così quelle tirate pur sincere, pur tristemente vere sulle donne e la loro condizione, le ho patite più per come sono delle tirate -dei chiari "hey, sentitemi come sono ancora attuale!"- che non per quello che dicono.
Il come -ovvero con una Saoirse in lacrime, una Dern incantata, una Pugh risoluta- quello sì l'ho apprezzato.
Alla fine, io che da queste Piccole Donne ero sempre scappata inorridita, mi sono ritrovata a vedermi  fragile come Beth, romantica come Amy, pragmatica come Meg, combattiva come Jo.
E non ho paura, anzi, sono fiera, commossa, e sorpresa di dire quanto mi siano piaciute queste Piccole Donne.


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