Un tempo erano un quartetto e si chiamavano Thundermother. Poi, dissapori interni, hanno portato a una vera e propria diaspora, che ha visto tre quarti della line up, la cantante Guernica Mancini, la batterista Emlee Johansson e la chitarrista/bassista Mona Lindgren, mollare la fondatrice Filippa Nässil, per proseguire la carriera con un altro progetto.
Nascono così le Gems, power trio la cui proposta resta assolutamente in linea con quella della precedente band: dare lustro al classic rock che affonda le proprie radici negli anni ’70 e ’80. Phoenix, titolo quanto mai azzeccato, che evoca la resurrezione dalle ceneri e un nuovo esaltante inizio, è un disco decisamente derivativo, che plasma il suono di quei gloriosi decenni senza inventare nulla di nuovo. Eppure, la scaletta è varia e coinvolgente, trasuda passione ed energia, e gli arrangiamenti, efficacissimi, invece di inasprirlo, levigano il suono, dandogli un taglio mainstream, e a tratti piacevolmente radiofonico. Ciò, però, non toglie nulla all’impatto di quindici brani, più una bonus track acustica, che filano prevalentemente a velocità supersonica, tra riff grintosi e ritornelli acchiapponi, vera e propria goduria per tutti gli appassionati del genere.
L’iniziale "Aurora – Interlude" è uno specchietto per le allodole, che apre il disco con un minuto e mezzo di cadenzato folk blues, che non avrebbe sfigurato in un disco della prima Adele. E’ un inganno, però, perché appena finito di apprezzare la bella linea vocale della Mancini, parte serratissimo il riff di Queens, che fa pensare immediatamente a "Tie Your Mother Down", guarda caso, proprio dei Queen. Da questo momento in poi, a parte un episodio e qualche breve intermezzo, il tiro del disco si fa indemoniato, e la successiva "Send Me To The Wolves", che cita spudoratamente i Led Zeppelin, mette ben in chiaro quali siano le frecce migliori all’arco del trio: aggressività e melodia, assoli rapidi e inseriti con gusto in un contesto spesso innodico, grazie a ritornelli che entrano in testa fin dal primo ascolto.
Le tre ragazze svedesi ci sanno fare benissimo anche quando rallentano il tiro, come accade nel cuore dell’album, con il breve strumentale per archi "Maria’s Song – Interlude" che introduce "Ease Your Pain", una ballata da pelle d’oca avvolta nelle spire calde di un malinconico blues, che mette in mostra il versatile timbro vocale della Mancini.
Le altre canzoni, come si diceva, per quanto rifinite da una produzione scintillante, sono fucilate ad alzo zero. Difficile, quindi, non abbandonarsi all’headbanging quando parte in sgommata "Running", brano il cui riff richiama i primi Iron Maiden, o quando l’assalto all’arma bianca di Like A Phoenix (fantastico il ritornello) palesa la propria consanguineità con l’heavy dei Motorhead, tanto che viene da chiedersi perché non ci sia Lemmy a cantare. Non c’è tempo, però, per tirare il fiato, perché la successiva "P.S.Y.C.H.O." è una fiammata contigua al punk, in cui le Gems danno prova di una sguaiata spavalderia da riot grrrl, mentre "Force Of Nature", se possibile, spinge ancora più decisamente il piede sull’acceleratore di un’hard rock di matrice settantiana.
La peculiarità di Phoenix è racchiusa in pochi, ma perfettamente amalgamati ingredienti: il grande amore per il rock degli anni d’oro, riletto però senza soggezione, ma con disinibita freschezza, e suonato con tecnica da veterane del genere. Il risultato è un disco diretto, gioioso, selvaggio, svincolato da inutili fronzoli, e per questo estremamente semplice da assorbire. Una nuova partenza per tre musiciste che hanno quel talento e quella personalità necessarie per fare molta strada verso un futuro di successi.