Brautigan viene comunemente accostato al fenomeno della controcultura hippy della California di fine anni 60 così come viene spesso citato nel novero di quegli autori che hanno dato energia alla corrente della beat generation; Pesca alla trota in America, che rimane il suo libro di maggior successo, difficilmente riesce a esprimere elementi certi che possano avvalorare e dar peso a classificazioni e accostamenti di questo tipo, se non per affinità parziali o comunque puramente accidentali o del tutto involontarie. Pesca alla trota in America è prima di tutto un corpo estraneo rispetto a qualsiasi altro scritto, libro, romanzo, raccolta di versi, racconti o poesie che sia; è un esito unico, originale, particolare, difficile da comprendere per il lettore medio ma in parte anche per quello più avvezzo a forme di narrazione fuori dagli schemi. Nonostante i due scritti siano per struttura e peso specifico agli antipodi, il primo accostamento che lentamente ha preso corpo all'interno della mia mente è stato quello tra il lavoro di Brautigan e l'immenso Suttree di Cormac McCarthy: i due libri hanno in comune una vicinanza al popolo degli ultimi, degli sconfitti, degli abbandonati e dei miserevoli che non solo si sono visti traditi dal Sogno Americano ma molto più banalmente anche da tutti gli elementi di una vita semplicemente decorosa. Il contrasto tra le due opere è nel piglio, in questo Brautigan si rivela molto più leggiadro, volatile, agile, sinceramente divertente e decisamente più incline alla speranza rispetto a McCarthy: al mondo in qualche modo si sopravvive, con un po' di follia, con un pizzico di incoscienza, con leggerezza; questo sembra dirci Brautigan dalle pagine di Pesca alla trota in America. Invece no, al mondo non si sopravvive, è un fatto, nemmeno l'allampanato Brautigan ci è riuscito, dopo un periodo in cui allo scrittore vengono diagnosticati uno stato depressivo e una schizofrenia paranoide (curata con l'elettroshock) Brautigan pone fine alla sua vita suicidandosi nel Settembre del 1984. Noi possiamo ancora vederlo Brautigan, lungo, in tutta la sua altezza, sulla copertina dell'edizione originale di Trout fishing in America (riprodotta anche all'interno di quella italiana edita da Einaudi), una sorta di cowboy sui generis con tanto di cappello, panciotto e jeans, ritto davanti alla statua di Benjamin Franklin in Washington Square a San Francisco, città in cui passò gli ultimi anni della sua vita. All'apparenza sembra un tipo pacifico Brautigan, magari un po' strambo come il suo libro.
Strambo, perché Pesca alla trota in America non è solo il titolo di un libro, è il libro stesso, a volte è un personaggio incarnato dal nome Pesca alla trota in America, qualche volta è semplicemente un'attività, quella che Brautigan come altri disperati suoi pari amano praticare nei torrenti d'America (i vari creek), poi è un ricettario e allo stesso tempo un commensale di Maria Callas, un cadavere o una frase capace di farti finire per direttissima nell'ufficio del preside. È una forza dirompente capace di farti pensare che non sia così strano che il Missouri possa assomigliare a Deanna Durbin, o che il cane di una vecchia signora pisci pezza o ancora che Pesca alla trota in America possa avere un amico di penna. E perché no, porco diavolo!
Pesca alla trota in America è composto da circa una cinquantina di brevi frammenti, i più lunghi dei quali contano al massimo sette o otto pagine, attraversati da una sottile linea rossa che dipinge tassello dopo tassello un'America ai margini che va comunque intuita, cercata. Nel dipingerla questa America Brautigan usa un registro che a volte lascia spiazzati e interdetti, a volte raggiunge vette di assurda e demenziale comicità capace di farti squassare dalle risate se solo si è capaci di cogliere e abbracciare senza riserve l'atipico e surreale mood dello scrittore di Tacoma. Forse Richard Brautigan avrebbe meritato maggior fama, forse no, e forse Pesca alla trota in America avrebbe potuto scrivere un libro intitolato Richard Brautigan. O forse no. Ai posteri l'ardua sentenza.