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REVIEWSLE RECENSIONI
Perverts
Ethel Cain
2025  (Daughters of Cain Records)
IL DISCO DELLA SETTIMANA EXPERIMENTAL/AVANT-GARDE AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
8/10
all REVIEWS
13/01/2025
Ethel Cain
Perverts
Nella mia condizione di maschio bianco etero basic, lungi da me la velleità di comprendere - anche solo di striscio - una personalità così complessa come Ethel Cain. Posso solo dire che, a poche settimane dalla pubblicazione su supporto fisico di Preacher’s Daughter, uno dei casi artistici più sorprendenti degli ultimi anni, il nuovo EP Perverts sta lasciando tutti a bocca aperta.

In uno dei suoi più recenti momenti ask sui social, veri e propri siparietti Q&A con i follower, Ethel Cain ha chiarito ogni dubbio sul rischio che Perverts, il suo attesissimo nuovo lavoro (forse l’unico EP della storia della musica lungo ottantanove minuti) possa risultare un deterrente per i fan della domenica, quelli che fraintendono brani del suo repertorio come “Michelle Pfeiffer” o “American Teenager” e, ingenuamente, li aggiungono come riempitivi a playlist indie-pop dal sapore buonista alla Taylor Swift insieme ad altro materiale costruttivo e rassicurante.

In effetti la community degli ammiratori della cantautrice di Tallahassee pratica un approccio radicalmente calvinista al culto della preacher’s daughter, mentre tra i più scettici o i laici, o comunque tra i numerosissimi utenti distratti e inconsapevoli di Spotify, può risultare naturale una certa fatica a raccapezzarsi tra i meandri del suo percorso musicale.

 

Rispetto alle accuse di allontanamento volontario di qualche fan, basta sbirciare tra la copiosa letteratura video rubata di straforo ai suoi concerti per convincersi, al contrario, del profondo legame che Mothercain ha tessuto con il pubblico, almeno quello delle prime file. Massima invidia (un sentimento assolutamente positivo, non me ne vogliate) per tutti quei miracolati, presi per mano, pietrificati dallo sguardo di questa Gorgone del Duemila puntato negli occhi, colti in lacrime nell’estasi della fruizione ravvicinata di intere strofe cantate ad personam, una trance indotta da un fascino e un carisma così potente in grado di mandare al tappeto qualunque persona debole di cuore.

Nella mia condizione di maschio italiano bianco etero basic, con l’aggravante di svariati decenni sul groppone, lungi da me la velleità di comprendere anche di striscio una personalità così complessa e in divenire individuale e artistico come quella di Ethel Cain. Mi basta unire i puntini tra le tappe salienti della suo percorso intimo e privato e la sua produzione artistica (il tutto nella cornice dell’estrema provincia USA, quella che noi, in questo buco di culo di posto, non possiamo minimamente nemmeno immaginare come cresca i suoi figli, se non dalle riduzioni letterarie dei libri e delle serie tv) per capire che si tratta di una cosa al di fuori della mia portata.

 

E, anche se volessimo parlare di musica, qui c’è poco da dire perché in Perverts di musica, almeno nell’accezione che ci hanno insegnato fin da bambini, ne troviamo davvero poca. A differenza di Preacher’s Daughter, il concept album di esordio, un capolavoro di cantautorato, americana in tinte dark e southern gothic e vera summa di tutto quello che ha digerito Hayden Silas Anhedönia per trasformarsi nell’affascinante figura di Ethel Cain. A differenza dei primi EP, Inbred su tutti, che hanno contribuito a diffondere il mito che oggi ha raggiunto tre milioni di ascoltatori mensili. E a differenza delle decine di canzoni che, prima di dichiararsi nella nuova identità artistica, la cantautrice ha diffuso sul web e di cui, sin dal raggiungimento più o meno definitivo della meta della sua transizione, ha chiesto senza tanti mezzi termini ai fan la cancellazione dai riproduttori e dalle cronologie, un progetto ampiamente superato e quinti estraneo alla nuova ispirazione.

A differenza di tutto questo, Perverts è principalmente un compendio di drone, industrial lo-fi e rumorismo ambient in un’opera audace e fortemente complicata in grado di riflettere un profondo disagio ma che, liberata e percepita fino all’ultimo istante, garantisce un’esperienza senza confronti. Nove non-tracce che alternano suggestioni pseudo-acustiche calde e avvolgenti ad atroci incursioni in una dimensione anti-materica, una sorta di sottosopra intriso di tutte le frequenze e le vibrazioni di cui, da questa parte della realtà, solo le leggi della fisica impediscono la propagazione.

Persino la voce, o almeno il simulacro del timbro che è possibile ricondurre a una natura umana, risulta perversamente vilipesa e brutalizzata in un’illusoria parvenza di tregua per l’anima. In brani come "Vacillator" , "Amber Waves" o “Punish”, abili decostruzioni country e slowcore e veri e propri salmi di espiazione ispirati dallo sconforto, Ethel Cain si (e ci) strugge attraverso i topos della sua liturgia, una narrazione in cui i confini tra il bene e male non si delineano distintamente, l’uno sporca indelebilmente l’altro e il tutto appare sfocato e contaminato da un’accezione dell’amore (sacro e profano, Dio e gli esseri umani peggiori) definitivamente compromessa.


La scelta deliberata dell’ascolto di un disco viscerale come questo può lasciare ferite irrimediabili. Perverts è un vortice trascendentale, un’immersione negli abissi del disagio e una anestetizzante esperienza di regressione a emozioni indecifrabili a cui solo un deterioramento accelerato del suono come lo conosciamo, pratica di cui Ethel Cain è sperimentatrice estrema, può indurre. Un viaggio fatale di sola andata in un non luogo tentacolare, dove angoscia e bellezza si uniscono per resettare per sempre ogni credenziale utile a individuare l’accesso sicuro e protetto alla via del ritorno.