Dite quel che volete, ma se i Personal Trainer avessero esordito agli inizi degli anni Duemila, oggi avrebbero probabilmente già scritto una bella pagina della musica indipendente.
Il collettivo (sono proprio loro a definirsi così, anche per una line up costantemente in movimento) diretto da Willem Smit pare aver mandato a memoria la lezione dei vari Pavement, Neutral Milk Hotel, Lemonheads e quant’altro, attirando l’attenzione di Bella Union, che ad agosto ha dato alle stampe Still Willing, il loro secondo disco (il primo, Big Love Blanket, era uscito nel 2022 tra l’indifferenza totale del sottoscritto). Scrittura ispirata ed affascinante, caratterizzata da quell’andatura indolente e sbilenca tipica dei grandi nomi del genere, la band olandese sarebbe pronta a prendersi il mondo, se non fosse che il tempo di queste sonorità sembra ormai tramontato da un pezzo.
Non so se siano venuti in Italia precedentemente, ma questo loro concerto milanese (il giorno dopo ce ne sarà un altro a Bologna) costituisce la seconda tappa del loro nuovo tour europeo; la prima, ci ha detto lo stesso Smit dal palco, è stata in Svizzera ad un house concert, dove hanno suonato senza il loro solito drumkit.
È la notte di Halloween, nel salone principale dell’Arci Bellezza si sta allestendo l’annuale festa con Dj set, di conseguenza il concerto è spostato al piano di sotto, nella Palestra Visconti. Non c’è tantissima gente (anche se bisogna dire che i presenti sono entusiasti e motivati), a testimonianza del fatto che nel nostro paese tira più un party danzante che lo show di una band misconosciuta ma di grandissimo livello.
I Personal Trainer sono in sette, una formazione con due chitarre, tastiere e accoppiata batteria/percussioni: sul palco stanno abbastanza stretti ma quando attaccano “The Feeling”, lunga ed articolata composizione contenuta in un omonimo 12” uscito lo scorso dicembre, trasmettono immediatamente quel mood festoso tipico di gruppi come Arcade Fire e Broken Social Scene.
Willem Smit, discreto cantante e trascinatore vero, la spinta propulsiva del percussionista Kilian Kayser e del batterista Leon Harms, la follia totale del tastierista Abel Tuinstra e del chitarrista Mart Boumans (fondamentale anche per le sue incursioni al sax), che contrasta con l’atteggiamento compassato dell’altra chitarra Franti Maresova: la loro è una miscela irresistibile di Indie Rock da manuale, con canzoni scritte benissimo ed una gestione magistrale delle dinamiche, soprattutto dei crescendo (si veda la conclusiva “Testing the Alarm”, che inizia come un’algida ballata semi acustica sostenuta dalle tastiere, per poi esplodere in un rumoroso e gioioso wall of sound).
Un brano come “Upper Ferntree Guilty”, lungo ed articolato, fa capire bene che razza di resa abbiano dal vivo, mentre episodi più brevi e diretti come “The Lazer” (suonata a richiesta di uno spettatore in prima fila), “Round” (veramente esplosiva), “Cyan”, “New Bad Feeling” e “Still Willing” incendiano l’atmosfera a dovere, affiancati da incursioni nel vecchio repertorio (“Key of Ego”, “Former Puppy”) che dimostrano come già dagli esordi il gruppo avesse molte frecce al proprio arco.
Di sicuro si tratta di una delle band migliori attualmente in circolazione, per quanto riguarda l’Indie Rock di scuola americana. Peccato solo che i tempi non siano più propizi. Noi, ad ogni modo, ce li godiamo ugualmente, sperando di poterli rivedere presto in azione.