Durata contenuta, struttura abbastanza lineare, simbolismi di primo acchito evidenti, eppure Persona, come altri film del regista svedese Ingmar Bergman, non è una di quelle opere di cui godere solo nel momento della visione con una fruizione che rimane ferma all'immediato, è necessario ripensare alla proposta del regista a posteriori, interpretare, documentarsi, approfondire una serie di considerazioni sulle quali è già stato detto molto, gli spunti non mancano, il film assolve così a una funzione più alta di quella del mero intrattenimento divenendo così Cinema con la maiuscola, non per niente Bergman è considerato tra i maggiori e più influenti cineasti nella storia della settima arte.
Come esplicitato da più fonti, fin dal titolo e dalla primissima sequenza si mettono in chiaro - per modo di dire - alcuni elementi d'interesse che Bergman ha voluto porre all'attenzione dello spettatore con questo suo racconto. Partiamo dal titolo, Persona, che va inteso nella sua accezione derivante dal latino, ossia quella di maschera, proprio come le maschere che si usavano nel teatro antico, una delle due protagoniste è infatti un'attrice teatrale, Elisabeth Vogler, interpretata dalla splendida Liv Ullmann. Il suo personaggio, durante una rappresentazione dell'Elettra, viene colto da un'irrefrenabile voglia di riso e così ammutolisce, protraendo poi la sua condizione di mutismo a oltranza anche nella vita vera. Il grande tema, almeno uno dei temi, è proprio il dubbio su cosa sia una vita vera e quanto ogni persona, nella fattispecie Elisabeth, possa essere realmente sé stessa nella vita di tutti i giorni e quanto costretta invece a indossare una maschera a uso e consumo delle convenzioni sociali, del rapporto con gli altri, per celare le proprie mancanze, anche quelle agli occhi degli altri più imperdonabili (la mancanza di amore per un figlio). Elisabeth sceglie così di chiudersi in un mutismo assoluto, evitando ogni finzione, anche se nei rapporti con le altre persone anche l'assenza di parola non necessariamente corrisponde all'assenza di ambiguità, tutto ciò viene esplicitato dalla dottoressa (Margaretha Krook) che ha in cura l'attrice: Elisabeth vuole essere, non sembrare di essere, ma il fraintendimento può nascere anche negli occhi dell'altro. L'altro è qui rappresentato da Alma (Bibi Andersson) l'infermiera che avrà cura dell'attrice, unica coprotagonista a contendere la scena ad Elizabeth, è il rapporto (univoco) tra le due a caratterizzare la quasi totalità di Persona.
Altro elemento preso in considerazione è quello della finzione, non intesa solo come maschera ma proprio come finzione cinematografica, cosa è vero e cosa no? Nulla probabilmente, in fondo siamo pur sempre in un film e per quanto il cinema tenti di riprodurre possibili realtà rimane inevitabilmente finzione. Persona si apre con una sequenza di fotogrammi, che torneranno in un paio di altri momenti focali del film, quasi subliminali ma ancora ben percepibili dall'occhio: un pene eretto, una mano inchiodata a un asse di legno, un proiettore, la pellicola che si brucia; come leggere quindi queste immagini decontestualizzate dalla storia narrata? La mano inchiodata lascia pensare da subito al Cristo rimandando al tema della fede, tema molto sentito dal regista e sviluppato in altre sue opere (Il settimo sigillo), eppure l'ipotesi non trova una concreta conferma all'interno del film, così come enigmatica rimane la presenza del pene se non per un vago rimando a un racconto di un'esperienza sessuale vissuta dalla loquace Alma che non manca di raccontarsi apertamente all'ascoltatore perfetto, la muta Elisabeth. Probabilmente la breve e reiterata sequenza rimanda proprio al concetto di finzione nell'arte.
Sono molte le riflessioni possibili scatenate da una narrazione tutto sommato semplice: dopo la caduta nel mutismo da parte di Elisabeth, la dottoressa che l'ha in cura le affianca costantemente la giovane infermiera Alma. Per garantire alla paziente un periodo di tranquillità al fine di una migliore guarigione, la dottoressa concede alle due donne l'utilizzo della sua casa al mare. Qui Alma si legherà sempre più all'attrice e in lunghe sessioni confessionali racconterà passaggi della sua vita ad Elisabeth che continua a perseverare nel suo mutismo pur mostrando tenere aperture verso la nuova amica. Ma anche in questa dinamica che ruolo hanno la sincerità, la finzione e soprattutto... quello di Elisabeth è un trauma o una scelta di comportamento deliberata? Stilisticamente il bianco e nero di Sven Nykvist dona una luce affascinante ai protagonisti e ai luoghi, in particolar modo agli esterni dell'isola in cui è ambientato gran parte di Persona (e dove Bergman prenderà poi dimora), colpiscono i primi piani, le riprese ravvicinatissime sulle due donne, sugli occhi della Andersson, sulla bocca della Ullmann. Bergman riesce a portare sullo schermo quelli che sono prettamente moti interiori dell'animo, invisibili quindi e non semplici da tradurre in immagini. Con eleganza, mestiere e qualche accorgimento di regia il maestro svedese lascia un'altra opera importante per riflettere su aspetti dell'esistenza affatto banali, lo fa tra l'altro in un film breve, all'apparenza semplice, con un contrasto tra forma e contenuti che non si può far altro che apprezzare.