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REVIEWSLE RECENSIONI
22/09/2023
The Armed
Perfect Saviors
Il collettivo The Armed, che si è sempre definito “a Punk Band from Detroit” o, molto più semplicemente, “The greatest band that’s ever existed”, arriva al quarto disco e, per quanto è possibile, va incontro ad un processo di parziale “normalizzazione”. "Perfect Saviors" è un ottimo disco, senza dubbio inferiore ad "Ultra Pop", ma contenente moltissimi spunti tali da richiedere di essere guardato da molteplici angolazioni per poter essere compreso appieno.

Sugli Armed c’è molto da dire ma anche molto che è già stato detto e scritto, per cui ogni sforzo da parte mia sarebbe sostanzialmente superfluo rispetto a decine e decine di pezzi di gran lunga migliori. Basti dunque dire che il collettivo che si è sempre definito “a Punk Band from Detroit” o, molto più semplicemente, “The greatest band that’s ever existed” (ironico ma non so fino a che punto) arriva al quarto disco e, per quanto è possibile nel loro caso, va incontro ad un processo di parziale “normalizzazione”.

Ultrapop giocava col titolo e la copertina (evocante un certo immaginario Neo Soul) per poi sorprendere con un assalto Hardcore senza compromessi, dove la melodia era sì presente, ma sepolta sotto tonnellate di violentissimi strati sonori. Il tutto corredato da un aspetto visivo totalmente senza senso, gente muscolosissima a torso nudo o agghindata in maniera improbabile, a dimenarsi dietro gli strumenti come se fossero degli avatar dei musicisti stessi.

In effetti nulla è mai stato dato sapere di loro, i nomi non sono mai stati resi pubblici e, quand’anche ne sia stato dato qualcuno, si trattava sempre di pseudonimi. In qualche occasione hanno mandato degli attori al loro posto nelle interviste ed in molti loro video (compreso l’ultimo, alquanto delirante, di “Liar 2”) il principale protagonista è un tale Dan Greene, che però non si chiama così e che è stato più volte accreditato come autore delle musiche del gruppo. Lecito dubitarne, mi sa.

Dal vivo non si riesce a fare maggiore chiarezza: quando li vidi lo scorso anno al Primavera Sound si esibirono a tarda notte, praticamente senza luci, permettendomi di distinguere solo otto sagome che si dimenavano al ritmo della musica più violenta e selvaggia che mi sia mai capitato di ascoltare in concerto.

 

Oggi forse c’è un discorso più esplicito da portare avanti: c’è un cantante che si chiama Tony Wolski, che ha spiegato in lungo e in largo le tematiche alla base di questo Perfect Saviors, il cui nucleo centrale sarebbe la dicotomia tra “Sport of Measure” e “Sport of Form”, due canzoni che sintetizzano due concezioni differenti di sport: quelli basati sulla misura (calcio, basket, football, ecc.) dove vince chi segna più punti dell’avversario, e quelli di forma (pugilato, ginnastica ritmica, pattinaggio, ecc.) dove contano anche fattori di tecnica ed esecuzione, e dove la vittoria è affidata a dei giudici, secondo criteri che, per quanto normati, sono in fin dei conti soggettivi.

È un discorso piuttosto complesso ma, da quel che ho capito, alla base ci sarebbe una grande allegoria della contemporaneità: aspireremmo a che la nostra “performance” venga valutata a tutto tondo nella sua complessità, ma quel che ci tocca è essere guardati e giudicati sulla base di freddi e impersonali numeri.

C’è dunque alla base una narrativa di sconfitta, ben attestato da liriche che danno spesso l’impressione di un’anima vulnerabile e ferita, incapace di ritrovare il proprio posto nel mondo. “There’s drama on my tortured brow/Am I a caricature?/There’s just a little between God and Clown/I wanna be an idol that you adore”, cantano nella prima strofa del singolo “Everything’s Glitter”, in quella che può essere vista come una perfetta sintesi della filosofia del disco.

 

Normalizzazione, dicevamo. O, se preferite, “svolta radiofonica” (questa è cattiva, ma è per rendere l’idea). Il fatto è che la pletora degli ospiti presenti (Julien Baker, Josh Klinghoffer, Troy Van Leeuwen dei Queens of the Stone Age, Stephen Perkins ed Eric Avery dei Jane’s Addiction) unitamente all’aver affidato il missaggio ad un certo Alan Moulder, paiono rappresentare una dichiarazione d’intenti piuttosto esplicita.

Rimane il carattere surreale dei video (in “Liar 2” c’è Dan Greene con una mano ferita e una camicia macchiata di sangue, che si esibisce in una buffa danza in mezzo alla strada, in quella che sembra in tutto e per tutto una periferia disagiata; in “Sport of Form” appare totalmente a caso Iggy Pop, nel ruolo di una figura lynchiana che terrorizza il protagonista) e c’è un sito chiamato Vatican Under Construction, come la canzone omonima, che invita a far fare ad una giovane ragazza tutta una serie di azioni quotidiane ma dagli esiti improbabili: è opera loro? Giurerei di sì anche se non ho elementi in più per poterlo dire.

Ecco, se l’aspetto visivo e di contorno appare immutato, con tutta l’urgenza possibile di giocare con stereotipi e immaginari, mescolare i punti di riferimento e fare uso abbondante di nonsense, a livello prettamente musicale questo potrebbe essere il lavoro più accessibile della loro carriera.

L’iniziale “Sport of Measure” punta tutto sulla carica melodica del ritornello, i suoni sono duri ma molto meno pesanti del solito; la successiva “FKA World”, che interviene all’improvviso, quasi una prosecuzione della precedente, è una bella mazzata che si muove tra Hardcore e Shoegaze, ma ha sempre la melodia in primo piano.

 

In generale si tratta di un lavoro dove la proverbiale combinazione tra aggressività e melodia, che bene o male caratterizzava anche i dischi precedenti, è decisamente sbilanciata a favore della seconda componente. Ci sono addirittura due ballate nel finale: “In Heaven” ha un bellissimo solo di sax nella parte centrale, “Public Grieving” inizia piano e voce, poi si movimenta con l’entrata della sezione ritmica ed un inusuale solo di basso sopra un tappeto di tastiere, per quello che è il brano più eclettico dell’intero disco, testimonianza di una certa voglia di sperimentare, oltre che di suonare più accessibili.

C’è anche una spruzzata di elettronica, che va a contaminare brani come “Modern Vanity”, dal ritmo cadenzato e dai ritornelli caratterizzati dal cantato in scream; oppure il già citato singolo “Liar 2”, che ha una base Dance Punk ma che strizza l’occhio anche a certi act di Alternative Rock ruffiani come Killers e Strokes; se vogliamo, anche “Burning Mind”, che punta tutto sul groove e che ben rappresenta il nuovo corso dei nostri. Da qui si occhieggia non poco all’Arena Rock, perché episodi come “Everything’s Glitter” o la clamorosa “Patient Mind”, sembrano davvero costruiti per essere suonate di fronte al grande pubblico, per come esplodono nei ritornelli e per come sono carichi di ritmi bombastici.

In un generale atteggiamento volto a stemperare la violenza sonora non mancano però altri episodi meno lineari e orecchiabili: il singolo “Sport of Form” è comunque bello carico, mentre “Vatican Under Construction” è veloce e abrasiva, simile a quella moderna declinazione dello Shoegaze portata avanti dai Nothing.

 

Nel complesso Perfect Saviors è un ottimo disco. Senza dubbio inferiore ad Ultra Pop, contiene però parecchi spunti (forse troppi!) così da richiedere di essere guardato da molteplici angolazioni per poter essere compreso appieno.

Vedremo se ne sentiremo parlare di più di prima: nel frattempo, il tour americano in apertura ai Queens of the Stone Age potrebbe rappresentare un bel lasciapassare per raggiungere un pubblico più vasto.