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REVIEWSLE RECENSIONI
02/12/2022
Alter Bridge
Pawns And Kings
La band capitana da Myles Kennedy e Mark Tremonti torna con un disco vibrante e intenso, il migliore da dieci anni a questa parte.

Composti da tre membri dei Creed, Mark Tremonti, Brian Marshall e Scott Phillips, e da Myles Kennedy alla voce, gli Alter Bridge hanno iniziato a calcare le scene nel gennaio del 2004 e, con questa nuova uscita, sono giunti al settimo album in studio e a un milione di copie vendute in carriera. Un risultato ottimo, se si considera che i quattro musicisti si snodano spesso in progetti collaterali, come la band di Mark Tremonti e il lavoro da solista di Myles Kennedy, che svolge anche i compiti di frontman nella line up dei The Conspirators di Slash.

A tre anni di distanza da Walk The Sky, da annoverarsi come un buon disco, ma niente di più, con Pawns And Kings, gli Alter Bridge azzeccano un album quasi perfetto, spostando verso l’alto l’asticella dell’ispirazione e, presentandosi con una vigoria inaspettata, soprattutto alla luce del lungo blocco pandemico.

L’arma vincente del quartetto è da sempre il perfetto equilibrio fra la forza propulsiva dei riff di Tremonti e l’approccio più melodico apportato da Kennedy: se il primo, infatti, strattona le canzoni, attraverso l’aggressività tonitruante della sua sei corde, verso territori decisamente metal, Kennedy mitiga la ferocia mediante la sua voce cristallina e arabeschi melodici di facilissima presa.

Questo preponderante bilanciamento, in Pawns And Kings, talvolta, però, deborda un poco verso suoni più aggressivi del solito, e si veste di qualche piccola novità rispetto al passato. In tal senso, i sali e scendi convulsi dell’opener "This Is War" pervadono il brano di un’epica melodrammatica e teatrale che può ricordare i lavori solisti di Serj Tankian (System Of A Down), mentre la melodica "Stay", cantata Tremonti, è un brano che esce decisamente dal seminato, facendo pensare addirittura a una canzone dei Pearl Jam.

Se alcuni episodi precedenti (Fortress del 2013 e The Last Hero del 2016) procedevano col pilota automatico inserito, facendo pensare a lavori di routine privi di sincero mordente, Pawns And Kings, invece, offre la miglior versione possibile degli Alter Bridge. Il groove di "Dead Among The Living" è un vero tsunami elettrico che piega la propria forza distruttiva solo d’innanzi a un ritornello irresistibile, "Silver Tongue" è un chewing-gum per le orecchie, melodica e al contempo potente, mentre "Sin After Sin", con un intro bluesy e psichedelico, dispiega tutto il sapere di Tremonti: riff abrasivo e un suono di chitarra incredibile. Se la sezione ritmica è, come di consueto una macchina da guerra, e Kennedy spara decibel ad altezze vertiginose, è comunque il chitarrista il vero asse portante di un disco potente e intenso, attraversato da assoli e riff abrasivi, tutti distribuiti con misura ed efficacia.

Non ci sono momenti di stanca, nonostante il ponderoso minutaggio del disco (oltre cinquanta minuti), e tutto funziona alla perfezione, sia quando la band costruisce brani accattivanti, diretti e piacioni, come "Holidays", sia quando costruisce otto minuti e mezzo di trame prog metal, come nell’epica e drammatica "Fable Of The Silent Son", il brano più lungo di tutto il loro repertorio.

Non ci sono grandi novità, in questo lavoro, e in tal senso, la presenza in cabina di regia di Michael ‘Elvis’ Baskette, produttore della band dai tempi di Blackbird, è un evidente segno di continuità; ma Pawns And Kings suona intenso, vibrante e aggressivo, risultando decisamente il miglior disco degli Alter Bridge da dieci anni a questa parte.