Il rap è musica per e fatta da persone di colore, da afroamericani, insomma, chi ha la pelle più scura di te.
Il rap non è certo fatto dai bianchi privilegiati, neanche se privilegiati non sono, e non c'è Eminem che tenga a far cambiare idea a quelli del ghetto, a quelli che il rap lo producono.
Il rap non è certo fatto da ragazze, pochi gli esempi da portare, e quelli che ci sono, sono bambole sexy che giocano a fare le sexy.
Figurati allora se sei bianca, se hai qualche chilo di troppo, e vuoi fare rap.
Patti, però, il rap lo sa fare davvero bene, il flow e le rime le escono che è una meraviglia, e sogna ad occhi aperti di entrare nell'olimpo verde del produttore O.Z., di scappare da quel buco di città nel New Jersey dove ancora vive con una madre che la odia, con una nonna che bene non sta.
Sopravvive facendo la barista alla bettola locale, dove al karaoke si esibisce pure quella madre che ha visto svanire i sogni di gloria musicale per una gravidanza indesiderata, sopravvive cercando altri lavoretti per saldare i debiti con la sanità che si è presa cura della nonna, sopravvive sognando, rappando, giocando, con l'amico di sempre, Jheri, aspettando la giusta possibilità, il momento del riscatto.
Alla faccia dei da persone di colore, da afroamericani, insomma, chi ha la pelle più scura di lei, alla faccia pure dei bianchi che fan rap e non le risparmiano il suo essere grassa, delle ragazze sexy.
La storia di Patti sembrerebbe una versione al femminile della storia di Eminem, con un complesso di Elettra non da poco da superare, con la questione razziale e di figura che non si può evitare.
E, in verità, una sua versione moderna - anche se il tutto è ambientato ai tempi pre-social - è, con le classiche cadute, arresti e risalite che il genere "wannabe famous" ha.
Ma, Patricia Dumbrowski, Dumbo, Killa P, Patti Cakes, insomma, Patti, ha una genuinità tutta sua, sa come prendere al cuore tra uno sfogo e l'altro al ritmo sincopato del rap improvvisato e creato, sa come infarcire la storia, aggiungendoci pure l'amore, e sa come commuovere, con una performance finale da applausi a scena aperta.
Merito di una Danielle Macdonald perfetta, di una sceneggiatura che esagera magari con quei sogni, con effetti speciali non proprio speciali, ma caratterizza bene i suoi protagonisti, anche le spalle secondarie come possono essere Jheri o Basterd, quella madre stronza per una ragione, o quella nonna combattiva che non si può non amare.
Il resto, lo fanno musiche e rime travolgenti, che inquadrano quell'America disperata, quell'American Dream in cui credere, sempre, e che sempre sanno sorprendere.