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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
27/07/2018
The Glezös Files
Papà, cos'era il punk?
“Ci scriveresti un pezzo sul punk? Il quarantennale vero è tra il 2017 e il 2018, tu sei un’autorità nel settore e…”. Fermi tutti: autorità? Aspetta un attimo.
di Glezös

“A migliaia di chilometri da qui, e mai per merito vostro”

 (Anna Melluso, meglio nota come Rosso Veleno, 1979. RIP.)

 

 

“Glezös, ci scriveresti un pezzo sul punk? Il quarantennale reale è tra il 2017 e il 2018, tu sei un’autorità nel settore e…”. No, fermi tutti: autorità? Aspetta un attimo. Poi l’attimo finisce, e chiacchierando con Ivan Cattaneo convengo con lui che quando ti fanno per mesi una richiesta del genere alla fine non la puoi schivare. Anche perché tutti -va bè, diciamo in molti- sanno che il motto attribuito erroneamente a Joe Strummer - “Once a punk, forever a punk” (che in realtà già negli anni ’70 era un modo di dire frequente anche in altri contesti) è tutt’altro che posticcio.

Dunque, va bene per l’articolo, ma cosa scrivo? Dopo decadi di libri-video-articoli sul web (molti ciarpame, alcuni notevoli), arrivo io nei panni di quello-che-c’era in un paese -l’Italia- con credenziali punk da terzo mondo, con la sbadigliante pretesa di raffronti storico/musical/philosophic/fashion eccetera, che dal 1979 in poi tutti hanno fatto e continuano a fare ogni 5 anni sotto ogni latitudine –soprattutto chi ha detto e scritto di terza mano dal corridoio di fianco, che di notte ci pensi e no, non ti sembra proprio di averli mai visti né conosciuti né sentiti nominare mentre andavi da casa tua a Londra e ritorno durante l’epopea del punk e dei suoi personaggi conosciuti e vissuti in diretta sul posto. E all’improvviso, oplà: eccolo che arriva e ti racconta la rava e la fava (le tue rave e fave), che tu non conosci ma lui sì, e te le spiega con aria anche un po’ seccata. Scherzo, ma non troppo: ricordo ancora tra frizzi e lazzi l’ennesimo libro sul punk uscito in Inghilterra negli anni ’90 con introduzione -a pagamento- di Malcolm McLaren, che chiosava: “Insomma, ditemi voi cosa ci dovrei fare con ‘sto libro?”.  Quindi no, non so cosa aggiungere a quello che ho fatto prima e detto e scritto dopo, a parte che il punk visto dal nostro paese resta cosa ardua e irrisolta. È per questo che anni fa ho scritto insieme a Eletttro il famoso ‘Punk alla carbonara’, libro-fanzine di rari documenti italiani d’epoca, in modo che ognuno potesse farsi da solo un’idea di come fosse da noi tra il 1977 e il 1981. Do it yourself, a partire dalle idee. Quindi mi spiace, niente articolo.

        …. niente articolo un cazzo. Depongo spilla da balia e lametta da rasoio, apro il computer (cosa pochissimo punk) e l’occhio cade su un file mp3 mandato dal cielo, e molto probabilmente non da Sid Vicious, Darby Crash, Joe Strummer o Joey Ramone & i suoi fratelli (se Bono ci dà il permesso) o da chi volete voi.  Il brano è ‘Carnival In Rio’ dei Toten Hosen, che non hanno bisogno di presentazioni e che mi salvano come il carro nel finale della Medea di Cherubini. Inserito col sottotitolo di ‘Punk Was’ nel divertente tributo del 1992 ‘Learning English, Lesson 1’ (una serie di cover di classici del primo punk con illustri ospiti in ogni brano, per i pochi che non lo sapessero), è l’unico pezzo originale dell’album. Il testo è una serie di immagini che nell’intenzione di Campi & Co. danno una buffa risposta al dubbio atletico -atletico, non amletico- buttato lì dalla vocina del bimbo all’inizio: “Papà, cos’era il punk rock?”. E allora prendiamo alcuni estratti del testo e vediamo cos’era, il punk.

 

Estratto 1. “Il punk era marcio, il punk era odioso / ma non era mai ambizioso…”

La rima è involontaria e il senso della frase pure, mi sa. Che fosse marcio e odioso, beh, quando una figura carismatica si fa chiamare Johnny Rotten o Sid Vicious c’è poco da dire. Appunto, ‘Vicious’, qui nel senso di odioso: il punk è attitudine e proclami spesso semiseri buttati in faccia agli impresentabili orfani di Woodstock a suon di ‘Born To Kill’, ‘I Don’t Care’, ‘Fuck Off’ e molti altri, quindi ci siamo. Ci siamo meno nel resto del rigo: se c’è una cosa di cui si accusa spesso il primo punk soprattutto inglese è il misto di sensazionalismo, exploitazione e voglia di notorietà a tutti i costi, dalle controversie da star dei Sex Pistols alle manie di grandezza dei Clash (“Ci identifichiamo nel primo Elvis, e come lui scioccheremo il mondo” non è esattamente una dichiarazione sotto traccia) giù giù fino alla venalità spesso associata ai gruppi punk (gruppi, non band). Due Svengali aspiratutto come Malcolm McLaren e Bernie Rhodes alla guida di Pistols e Clash non favorivano pensieri bucolici. Ma i non-ambiziosi c’erano e nemmeno pochi, ovvero i punk fans degli albori. Quelli per cui non era solo una questione di musica ma di questioni da sollevare a 360°: spille da balia e amenità comprese, a lato di uno Steve Strange affamato di glamour discotecaro a un tanto al chilo (ci riuscirà coi Visage) c’erano entusiasti che nulla chiedevano né volevano se non vedere come andava a finire. I più articolati avevano lasciato già a inizio 1978.

 

Estratto 2. “… era insopportabile, era osceno / era rompere le palle alla nostra cara Regina…”

Parto dal secondo. Annetterti il pacchetto completo di quello che ti piace è cosa ovvia: nonostante ciò, è esilarante pensare a un italiano o un tedesco che nel tentativo di fare-i-punk-inglesi se la prendono con la Regina Elisabetta come se c’entrasse con loro. Globalizzazione pre-Brexit? La corona britannica aveva e ha rilevanza zero nella vita di un cittadino -punk o non punk- residente a Pordenone o a Lubecca: che gliene frega ai Toten Hosen della Regina? All’epoca erano naturalizzati inglesi? Mah. Nel video dei Pistols ad Atlanta nel gennaio 1978 i loro fans americani inveiscono contro la EMI inglese per le pastoie contrattuali private di Rotten e amici. Un corpo e un’anima, come cantavano Wess Ramone & Dori ‘Blondie’ Ghezzi?

E ancora, oscenità a confronto. Nel punk l’impatto visuale è a volte confluito nella corrente dei Sozzoni-Che-Fanno-I-Punk. Poca roba, al contrario di un po’ di fans degli inizi. Ricordo un ragazzotto al concerto di Iggy Pop al Palalido di Milano nel 1979 agghindato in giubbino di pelle del papà, e jeans tagliati con la forbice (non strappati, eh no) tempestati di scritte oscene in pennarello rosso. L’interessante creatura esplodeva ogni 10 secondi in urla bestiali e risate proto-sataniche, stringendo saldamente in mano gli attributi sotto i jeans, sbatacchandoli su e giù e brandendoli contro il mondo: Iggy, scappa che sto arrivando.

 

Estratto 3. “… era un viaggio perverso e di pessimo gusto / una spilla in bocca a Sua Maestà…”

Vedi sopra. Evidentemente la Regina Elisabetta era l’ossessione definitiva della punkitudine non-suddita extrabritannica. Del resto, metterla giù del tipo “Adesso andiamo tutti insieme a ficcare una spilla da balia in bocca alla Merkel” è meno forte.

 

Estratto 4. “… il punk era una sbornia, una rissa / le dita nel naso e il pranzo vomitato…”

Campi & Toten Hosen, qui non ci siamo. In merito a sbronze da paralisi, risse da mezza guerra civile, vomiti, malori vari e accessori, beh, se è solo per quello il folk irlandese pialla il punk otto a zero.

 

Estratto 5. “… era volgare, era una topaia / era una polaroid a letto con tua madre…”

…e anche il gusto di spararla grossa e vedere se succedeva qualcosa. Ma quando nel 1978 venne fuori che tra il girato di ‘The Great Rock’n’Roll Swindle’ c’era una scena di sesso con protagonisti Sid Vicious e Marianne Faithfull nei panni di sua madre, nessuno fece una piega: la reputazione terrificante di Anne Beverley, vera madre di Sid, faceva temere molto peggio. La scena non fu inclusa nel montaggio finale del film: colpo sparato, a vuoto.

 

Estratto 6. “… non ci facevamo prendere per il culo da nessuno / non ce ne fregava proprio un cazzo / se la nostra musica non ti piaceva / erano solo cazzi tuoi…”

Qui la cosa è più seria: il senso della faccenda racchiuso in una nocciola, come dicono gli anglofoni. Il comune denominatore in tutte le fasi del punk (pre, durante e post) dovrebbe risiedere qui: non credere alle palle che ti raccontano, fai quello che ti viene e se qualcuno si incazza meglio ancora, e magari si incazzano in tanti. Con buona pace dei pronipoti vedovi dei sixties, mai come nel punk non era solo una questione di musica e dischi (nonostante quello che scrivono nei libri adesso, punk e punk-rock sono due cose distinte). Ma nonostante questo ci si è presto adattati ai mutamenti di tempo e audience: se te ne freghi che quello che fai e dici non piace a nessuno non ti lamenti del risultato, ma è dura che qualcuno venga a sapere che tu esisti. Da qui l’ingresso dei ritardatari in un underground successivo che sa poco di punk e molto di hippy. Ironia della sorte, dal punto di vista del bieco commercio il punk rock targato 1977 è stato un successo di medio livello solo in Inghilterra (‘Never Mind The Bollocks’ dei Sex Pistols ci mise 15 anni a diventare disco d’oro -oro, non platino- negli USA). Lezione assimilata nei successivi trend: grunge, hip-hop e neoprotopunk-alla-Green Day abbassano i toni e sfruttano fattori, circostanze e media che ai tempi non arrisero ai fratelli Ramone, alla supposta Anarchy dei McLaren/Pistols e ai loro cugini sparsi per il globo. “Non ce l’abbiamo fatta: ci ho messo un po’ ad accettarlo, guardando il successo di quelli venuti sulla nostra scia”, diceva un non più ambizioso Johnny Ramone a fine anni ‘90.

 

Estratto 7. “… apri gli occhi e ascolta, ragazzo mio / non c’è motivo di essere triste / resta nei paraggi e stai con noi / e ritornerà tutto…”

Beh, tristi mai e poi mai. Però un dubbio viene: come fa a ritornare una cosa che è nata al grido di “No Future”? Magari in Germania per i Toten Hosen la faccenda è diversa, ma per noi…

…già. E noi, quelli del punk in Italia? Io non lo so chi e cosa siamo, noi che veniamo da lì. Io so che c’erano Eletttro, Anna, Lilia, Tonito, Marco, Giuseppe, Stefano, Patrizia e altri, che eravamo pochi e lo siamo ancora perché qualcuno non c’è più, noi che sappiamo che chi è stato punk una volta lo è per sempre, anche se tutto è nato a migliaia di chilometri da qui e mai per merito nostro. Sappiamo che quello da cui veniamo non ha lasciato figli, solo il languore di chi c’era e quello di chi avrebbe voluto esserci stato, che nel tentativo di proiettarsi nel presente fa dire a entrambi: “Se una cosa mi piace, è punk”.

Eletttro, Patrizia, Marco, Giuseppe e chi c’è ancora, l’avreste mai detto? 1978-2018, il nostro Giubileo. Al futuro, alla felicità, in alto i boccali! Più punk di così…

 

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Glezös è uno tra i primi e più noti agitatori del punk ‘77/’81 in Italia (The Gags, Schwarz Of Galiorka e altro). Ha scritto, tradotto e parlato su giornali, libri, in radio e tv. Tra le altre cose, insieme a Eletttro ha pubblicato il volume ‘Punk alla carbonara. 1977/1981: l’Italia sotterranea attraverso fanzines, stampa e dischi’ (Avec Les Punks 1998/2012, tre edizioni).