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REVIEWSLE RECENSIONI
Pain Is Forever And This Is The End
Mantar
2022  (Metal Blade Records)
HARDCORE METAL / HARD ROCK
8/10
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30/08/2022
Mantar
Pain Is Forever And This Is The End
Alla quarta prova sulla lunga distanza, i tedeschi Mantar sfornano un disco più diretto e immediato, che guarda con maggior attenzione alla forma canzone, senza perdere, tuttavia, la consueta ferocia.

Il duo composto da batteria e uno strumento a corda (chitarra o basso che sia) rappresenta una proposta abbastanza famigliare nella storia musicale alternativa del nuovo millennio, e non è certo difficile citare gruppi che, negli ultimi anni, hanno avuto parecchio successo e un seguito di fan di tutto rispetto. Basti pensare, così, al volo, a band come i Black Keys, i White Stripes, i Royal Blood e i nostrani Bud Spencer Blues Explotion.

Nessuno di questi nomi, però, può vantare il carico di ferocia che grava sulle spalle dei tedeschi Mantar, una coppia di fuori di testa, composta dal cantante e chitarrista Hanno Klanhardt e dal batterista Enrinc Sakarya, giunti oggi al loro quarto album in studio. Il quale, rappresenta una svolta rispetto ai tre precedenti lavori, il sorprendente Death By Burning e gli ottimi Ode To The Flame e The Modern Art Of Setting Ablaze. Se quelli erano dischi caotici, estremi e malati, Pain Is Forever And This Is The End è un album certamente più maturo e diretto, che guarda con maggior attenzione alla forma canzone, senza tuttavia perdere un briciolo dell’impatto devastante che è il marchio di fabbrica dei Mantar.

Un disco rock, genere declinato nelle sue varie accezioni, che trova come punto di partenza il precedente EP di cover Grungetown Hooligans II, una raccolta di reinterpretazioni di grandi classici di Jesus Lizard, Sonic Youth, L7, Babes In Toyland e altri ancora. Ecco, quell’album è stato l’abbrivio per questo nuovo lavoro, uno sguardo sul passato e lo spunto su come reinterpretarlo, attraverso una sensibilità, che, mutate mutandis, resta quella dei Mantar, una band che non smette di ringhiare un solo secondo, nei suoi abiti sudici e con una rabbia che riesce a essere ancora autentica dopo ben dieci anni di carriera.

Un disco cupo, esattamente come il titolo, che evoca un periodo difficilissimo vissuto da Hanno Klanhardt, a seguito di una serie di infortuni che lo hanno costretto a lunghe degenze in ospedale, ed essenziale, perché recupera il nocciolo della forma canzone, depurandola da ogni inutile sovrastruttura, e perché si fonda esclusivamente sull’architrave di riff di chitarra scorticanti, su una batteria scalpitante e belluina e sulla voce disturbante di Klanhardt, una sorta di Kurt Cobain che si fa i gargarismi con bicchieri di sabbia.

Impianto melodico ridotto all’osso e una tirata di quarantasei minuti in cui si picchia senza posa e senza compromessi, mettendo a nudo, come un nervo scoperto, il pathos di un rock estremo e dal ghigno malvagio, che deborda nella potenza distruttiva del metal ("Egoisto"), che rimescola scorie grunge anni ’90 e death nella brutalità di "Hang ‘Em Low", che serra in una morsa d’acciaio citazioni dei Nirvana ("Odysseus"), che spinge la velocità al massimo nel convulso hardcore di Piss Ritual e che sfodera riff settantiani, portandoli alle estreme conseguenze di un assalto all’arma bianca ("Grim Reaping").

Pain Is Forever And This Is The End è un disco per palati forti, un’opera oscura e violenta, che colpisce l’ascoltatore come un uppercut in pieno mento. E’ un album, tuttavia, che dice ancora molto sulla forza propulsiva del rock, che spogliato da ogni orpello e svincolato dalle mode, riesce nuovamente ad appiccare incendi e a ritrovare la propria vera, selvaggia natura.