Se in Gran Bretagna i Mogwai arrivano in classifica con un disco autoprodotto, da noi al massimo si discute sull’outfit di Damiano dei Måneskin o su chi diavolo sia questa Madame che a soli 19 anni si è guadagnata un posto tra i Big in gara.
Diciamolo comunque chiaramente: se Sanremo va fatto, allora ha senso farlo come lo ha pensato Amadeus dall’anno scorso e soprattutto quest’anno: svecchiare totalmente la composizione dei partecipanti, eliminando tutta una serie di personaggi messi lì per giustificare l’endorsement del solito pubblico di massa che ancora guarda la tv, e aprire a quei nomi che hanno effettivamente una carriera e che godono dei consensi della parte più giovane degli ascoltatori. Non a caso, il commento dei soliti soloni all’annuncio del cast è stato del tipo: “Ma chi li conosce questi?”, “Ma che Big sono?”, ignorando totalmente il fatto che, a parte Madame e Fulminacci (che comunque il loro bel curriculum in questi anni lo hanno pure messo assieme) la maggior parte degli artisti coinvolti ha per lo meno un dieci anni di carriera sulle spalle. Per citare indirettamente uno degli articoli peggiori in tal senso, che sfoderava tronfiamente il manzoniano “Carneade, chi era costui?” per smarcarsi con orgoglio tipicamente soloniano dalle scelte della direzione artistica del Festival, il problema non sta nell’oscurità dei nomi ma nell’ignoranza dei presunti “critici musicali”: gente che si è fermata agli anni ’70 e che (colpa non grave ma comunque da sottolineare) ignora il vero motivo per cui Manzoni mette in bocca a don Abbondio quella frase poi divenuta proverbiale. Non certo per sottolineare che Carneade non fosse famoso (ai suoi tempi era al contrario un nome celeberrimo) quanto che fosse don Abbondio ad essere ignorante come una capra.
Terminato questo sfogo totalmente inutile nell’economia del pezzo ma necessario al mio benessere personale, lasciatemi dire due parole sulla prima tranche di canzoni che abbiamo ascoltato ieri sera. Perché io Sanremo da sempre lo guardo così: audio azzerato, libro in mano, cuffie in testa non appena arriva uno dei concorrenti. Tutto il contorno l’ho sempre trovato imbarazzante, privo di contenuto, superfluo. Possibile che la maggior parte degli spettatori possa anno dopo anno sopportare di sorbirsi questi dialoghi pietosi e questi siparietti buoni giusto per ottantenni che non sanno che nel frattempo l’intrattenimento ha fatto dei passi avanti? Come se non bastasse, il ritmo della prima serata è stato insopportabilmente lento: dentro subito le nuove proposte (sulle quali non mi soffermo, anche perché i loro brani sono noti da mesi) ma tra una cosa e l’altra, alle 11.30 i Big ad essersi esibiti erano stati solamente sei.
Detto questo, cerchiamo di fare ordine in quel che abbiamo ascoltato:
Arisa “Potevi fare di più”: Molti punti interrogativi sulla sua carriera, al di fuori della visibilità offerta da X Factor e Sanremo (credo sia tipo alla centesima partecipazione). Il brano glielo ha scritto Gigi D’Alessio che, al netto del genere che può non piacere e degli sfottò di cui è sempre vittima, è uno che sa scrivere. Confeziona comunque una canzone fatta apposta per dimostrare che l’interprete ha voce (lo sapevamo già) ma per il resto non va da nessuna parte. VOTO: 4
Colapesce Dimartino “Musica leggerissima”: Chi mi conosce sa cosa penso di loro come singoli artisti e del disco che hanno scritto insieme l’anno scorso, per me uno dei migliori in assoluto, non solo in Italia. A questo giro si riconfermano, risultando tra i pochi, all’interno dei nomi che aspettavo, veramente in linea con il contesto generale del loro cammino artistico e non snaturati dal dover portare a tutti i costi la canzone “sanremese”. “Musica leggerissima” ha un groove piacevolmente retro e mette in mostra il solito talento assoluto dei nostri per le melodie. Convincente anche la performance che hanno messo in scena. VOTO: 8
Aiello “Ora”: Non l’ho sopportato quest’estate, quando è diventato protagonista di agghiaccianti tormentoni, me lo ritrovo al Festival ad indossare panni intrisi di tristezza e ad interpretare una canzone dai tratti dissociati, con una vocalità fin troppo sguaiata. Qualche buona intuizione a livello testuale, il resto è terrificante. VOTO: 4
Francesca Michielin Fedez “Chiamami per nome”: Anche qui, chi mi conosce sa perfettamente cosa penso della Michielin e può quindi immaginare quanto attendessi questa esibizione. Inserire gente come Alessandro Raina e Mahmood nel team di scrittura è di per sé garanzia di qualità e infatti. Brano ben costruito, con l’impronta melodica del vincitore dell’edizione 2019 fin troppo in primo piano ma fatto suo da un’interpretazione di Francesca come sempre superlativa (anzi, negli anni la ragazza è migliorata parecchio). Peccato solo per la presenza di Fedez, che riesce a rovinare anche quello che non poteva essere rovinato e si trova a disagio perfino con l’Autotune, che farebbe cantare intonata anche una nutria. Ieri sera ho capito finalmente perché ha deciso di puntare tutto sulla carriera da influencer. VOTO: 7,5
Coma_Cose “Fiamme negli occhi”: Li seguo da sempre e non ho mai nascosto il mio amore per loro. “Fiamme negli occhi” è tutto sommato in linea con le cose che hanno fatto in passato, al netto forse di una leggera “normalizzazione” nelle immagini testuali, un po’ meno ardite del solito. Più in evidenza la componente cantautorale rispetto a quella Urban ma nel complesso sono tra i migliori, anche loro sono riusciti a portare quello che sono senza fare troppe concessioni. VOTO: 8
Annalisa “Dieci”: Vale il discorso già fatto per Arisa: questa ragazza ha una carriera sua o vive periodicamente di comparsate come questa? Quest’anno se non altro porta un brano che, se pur canonico, contiene qualche punto di interesse in più a livello melodico e potrebbe funzionare come guilty pleasure. Potrebbe, ma non credo che avrò tempo di ascoltarlo a lungo. VOTO: 5
Noemi “Glicine”: Chiamata all’ultimo momento per sostituire Irama, che ha dovuto rinunciare causa tampone positivo di un membro del suo staff, Noemi è una di quelle artiste uscite dai Talent che negli anni ha saputo ritagliarsi una discreta carriera e a dimostrare di non essere solo un fenomeno contingente. Per quanto mi riguarda, l’ho sempre trovata bravissima ma sono davvero poche le cose sue che mi abbiano davvero convinto. ”Glicine”, nonostante l’accoppiata Mahmood/Dardust in fase di scrittura (qui assieme a Ginevra Lubrano e a Francesco Fugazza) non decolla mai, nonostante un buon ritornello, e temiamo farà la fine degli altri cinque brani che ha portato su questo palco: tanti elogi, pochi riscontri concreti. VOTO: 6
Max Gazzè: A suo tempo avevo amato tantissimo la freschezza e le tendenze artsy de “La favola di Adamo ed Eva” ma col passare degli anni ho trovato l’artista romano fin troppo uguale a se stesso, bravissimo ma mai davvero convincente, come se lui stesso si specchiasse eccessivamente nel proprio talento. “Il farmacista” è la solita canzone di Gazzè, scritta e interpretata benissimo, in questo caso anche con delle trovate sceniche non originali ma senza dubbio divertenti. Sufficienza abbondante (e molto meglio dell’ultima che ha cantato tre anni su questo palco), capisco perché in tanti lo stiano già indicando tra i migliori ma a me personalmente non basta. VOTO: 7
Ghemon “Momento perfetto”: L’ho sempre considerato un’eccellenza ma il disco uscito l’anno scorso mi aveva un po’ deluso, mi aveva fatto intravedere una tendenza a ripetersi che avrebbe potuto rivelarsi fatale. “Momento perfetto” mi ha colpito per un arrangiamento più scarno e per un uso minimale dei fiati, ma per il resto è un brano ben confezionato ma privo di mordente, che mette in fila tutti i cliché dell’artista di Avellino, senza però riuscire a cogliere nel segno. Parabola discendente già imboccata? Ho paura di sì. VOTO: 6,5
Måneskin “Zitti e buoni”: Senza troppi giri di parole, li detesto. Un gruppo che poteva essere magari genuino agli esordi ma che X Factor ha trasformato in una macchietta da stereotipo del rock buono giusto per l’ascoltatore medio di Virgin Radio. Portano in gara un brano che è un’accozzaglia informe di luoghi comuni, dal riff assassino in apertura, al ritornello graffiante, al testo intriso di (finto) anticonformismo. Ho letto persino di “ritorno del vero rock a Sanremo”. Per quanto mi riguarda, se un po’ di rock c’è stato ieri sera, lo ha mostrato molto di più Loredana Bertè che questi poser da quattro soldi. VOTO: 3
Madame “Voce”: Francesca Calearo ha dimostrato in pochi anni di avere un talento assoluto, espresso in una serie di singoli e featuring dalla qualità impressionante, abbastanza da farci pensare che il Rap italiano potrebbe finalmente aver trovato un’interprete femminile di autentico spessore. Con “Voce” gioca una carta piuttosto simile a quanto fatto sul precedente brano “Il mio amico”: incursione nel territorio della canzone Pop (lì c’era però un’ottima strofa di Fabri Fibra) valorizzando al meglio una vocalità che era comunque già apparsa sorprendente. Ci ha messo lo zampino Dardust e si sente tantissimo, il pezzo è oggettivamente bello, nonostante una certa prevedibilità, il testo (una sorta di dichiarazione d’amore alla propria voce) molto interessante e l’interpretazione di ieri sera è stata oggettivamente pazzesca, una personalità e una tenuta di palco che non diresti mai possano appartenere ad una ragazza di 19 anni. Unico difetto, se così vogliamo chiamarlo: le mie aspettative erano forse fin troppo alte e non mi sarebbe dispiaciuto vederla cimentarsi con qualcosa di maggiormente Urban. Ma sono piccolezze: comunque vada in gara, io ormai sto solo aspettando il disco. VOTO: 8
Fasma “Parlami”: Non l’ho mai seguito, se devo essere sincero, mi pare abbia vinto l’anno scorso nella sezione “Nuove proposte” ma non ricordo nulla del pezzo. Questa “Parlami” non è niente di che ma ha un retrogusto vagamente piacevole, una ballata sanremese in salsa Indie come poteva essere l’anno scorso “Fa rumore” di Diodato, che poi si è assicurata il primo posto. Ho letto commenti poco convinti, io la sufficienza risicata sarei anche disposto a dargliela, vedremo nelle prossime sere. VOTO: 5,5
Francesco Renga “Quando trovo te”: L’ex Timoria per il sottoscritto rimarrà per sempre il cantante dei Timoria. Nulla ma proprio nulla di quel che ha fatto da solista per me ha mai avuto il benché minimo senso. All’inizio ci ho anche provato, poi ho mollato il colpo. Avrà anche venduto tanti dischi ma per me Francesco Renga è l’emblema del nulla, una voce straordinaria sprecata ad eseguire canzoni senz’anima. Questa non fa eccezione. Superata ancor prima di arrivare al primo ritornello. VOTO: 3