Oggi Stefano Tamburini lo si conosce per caso. Perché bisogna (è un dato di fatto) prima conoscere coloro che sono stati più evidenti di lui in una scena – altrimenti non può definirsi[1] - fumettistica esaurita, che taluno frusta ancora come un cavallo morto.
La scena del Cannibale prima e di Frigidaire poi.
Ebbene: “sotto” Andrea Pazienza e a fianco di Tanino Liberatore, per chi sa leggere, si trova Tamburini.
Ci ha provato, con coraggio e quasi eroismo, più volte Michele Mordente (che mi chiama Stè e io lo saluto con uno Znao ipoteticamente rankxeroxiano che lo indispettisce) a spiegare e celebrare il genio della mente di Steve Tamburo, ma la sua voce si perde nel vuoto.
Tamburini non vende e poco interessa.
Poco interessa in quanto, ribadisco, siamo da anni e anni al recupero di un breve periodo vecchio di più d’un quarto di secolo, i colori sgargianti di Paz(ienza) non vengono mai associati alla sua morte per overdose e al cattivo Zanardi dai radical chic, che sono la maggioranza dei suoi “vedovi”, così come pochi si domandano cosa c’è dietro le matite muscolose (non muscolari) e le tinte pirotecniche piegati entrambi al volere di TL[2], un incrocio originale fra Burne Hogart e Philippe Druillet (volendo banalizzare con cervello e conoscenza di un allora ventenne: io).
In altre parole: il pubblico non va oltre la superficie di ristampe arbitrarie (Pazienza) e vecchie copie di albi e numeri di periodici più o meno ingialliti e più o meno preziosi (Liberatore con Tambura, ma chi se ne accorge?).
Invece, questo romano – nato il 18 agosto 1955 e di cui non si conosce il giorno esatto della morte, nell’aprile del 1986, perché trovato cadavere senza grandi indizi in un appartamento: “Oggi, 24 aprile 1986, verso mezzogiorno, è stato trovato il corpo di Stefano Tamburini, morto da più di dieci giorni, forse per un malore improvviso”[3] – è la mente e anche le matite (“a serramanico”) e anche le forbici e la colla e la fotocopiatrice e la macchina per scrivere che furono la spina dorsale dei due gioielli che ho evocato in apertura di quella scena disegnata che rendeva l’Italia interlocutore – alla pari e altrettanto unico – di Métal Hurlant.
A me, del Tambura, hanno sempre affascinato due fattori: il lato punk a metà strada fra New York e Akron – lui era un “americano” non un “inglese” – e quella cultura, emarginata più che marginale, da cui mi aspettavo sempre un guizzo imprevisto.
Tanto che se le sue storie a fumetti sono “No” come No New York, esperimenti come il personaggio di Snake Agent o le cronache (più che recensioni) di Red Vinyle si rivelano un gioco d’intelligenza con il lettore.
Tamburini ragionava con il giubbotto di pelle indosso.
Chissà cosa gli avrei chiesto se lo avessi incontrato… Ecco, quando morì mi parve di essere stato privato di un interlocutore che, altrimenti, avrei avuto.
Curioso, mi rendo conto che mi manca anche l’opinione di Tonito su Tambura…
Cosa ne penso io di Stefano Tamburini? È presto detto. Quello che segue era l’incipit di questo post, nemmeno letto quando ho scritto l’attuale.
QUOTE
Stefano Tamburini: lo Schifano del fumetto e anche di più
Stefano Tamburini per me è un genio.
Mario Schifano forse.
Agli appassionati di fumetti è noto che la redazione di Frigidaire aveva una ammirazione incondizionata per Mario Schifano, quello degli anni ’70 e primi ’80 del ventesimo secolo.
Nella bibliografia (credo sia più corretto che chiamarla solamente fumettografia) di Tambura compare anche un servizio dedicato a Schifano[4].
Ma Tamburini (esattamente ricorda Scòzzari come fra loro si apostrofassero per cognome) creava oltre il mero segno (certo non aveva il tratto di Liberatore) e il suo Snake Agent oggi probabilmente sarebbe realizzato sulla base della frammentazione audio e video di una cattiva ricezione digitale (televisione o Internet, poco importa)[5].
Ricordo, anche, che all’epoca la “computer grafica” era agli albori, quindi molto collage e poco software.
UNQUOTE
Cosa dovete cercare? Tutte le storie in bianco e nero di Rank Xerox[6], Tiamottì (disegni di Liberatore), Uncontrollable Urge. Un punto di partenza, se riuscite a trovarlo, è Banana Meccanica a cura di, ça va sans dire, Michele Mordente.
Ci sarebbe anche un breve documentario televisivo dal titolo Sulla carta sono tutti eroi; qui però siamo già nel difficile.
Credo di avere una piccola autorizzazione per questa scansione e queste due prove di Red Vinyle che Vi offro.
“È seccante doverlo ammettere, ma la lucidità della n-wave americana sta perdendo colpi e qualche grosso gruppo si sta cagando in mano la precisione che aveva fino al 1979: i Pere Ubu, per esempio, cristo, chi glielo perdona un album così palloso come «The art of walking»? Esce fuori finalmente tutta la spocchia intellettuale che il ciccione aveva centellinato negli altri album, è sicuramente tutta colpa sua, smollato il chitarrista Tom Hermas, s'è tirato in famiglia Mayo Thompson, altro grasso vocalist/leader dei Red Crayola, per il quale aveva recitato una filastrocca deficiente nello stupendo «Soldier talk»: non vi aspettate però niente di simile, di tutta la trascinante paranoia dei primi tre L.P. non resta che il «rumore bianco» di Ravenstine a sottolineare diligentemente i viaggi lagnosi dei due lardosi vocalist: per il resto, seghe, seghe e un tributo a Miles Davis. Se si è grassi, è difficile rialzarsi quando si cade (ecco perché i DEVO fanno tanta ginnastica). Un altro tonfo discografico è «Wild Planet», secondo parto dei B-52's: è risaputo che, in tempi convulsi come questi, i parametri di gusto saltano e scricchiolano come siringhe sotto il tacco dei «camperos», e che la banalità ripetitiva ieri ti diverte oggi ti fa cagare, ecco, i B-52's oggi fanno cagare; dal primo L.P. è cambiato solo il colore della copertina da giallo a rosso, stesse facce di cazzo, stessi urletti, stesse basi musicali - ma chi ha ancora voglia di ballare? È irritante -. Per quanto riguarda gli sbarbi della California, posso dire che le ultime cose dei Tuxedo Moon possono andare bene come "ambient music" per una scopata, ed i Chrome non vanno bene neanche per quello: i Residents esquimesi li ho consigliati ad uno che mi stava proprio sul cazzo. Dell'ultimo di David Bowie non mi va di parlare, mi piace, non mi aspettavo niente di meno da lui (l'optimum è ascoltarlo mentre fai le valigie, pochissimo prima di partire per un viaggio), però Tom Verlaine porta sfiga e Robert Fripp pure, a parte il fatto che ormai timbra lo stesso cartellino su troppi album (tra lui e Brian Eno, grandi stronzi del rock, c'è da sperare che non rovinino la testina di David Byrne: tra l'altro è passato un anno da Fear).
La situazione ricorda il periodo di stanca del Progressive rock, quando tutti rifacevano i King Crimson, solo che oggi invece del mellotron si abusa dei nastri preregistrati e della «rhitm box» (agli Stupid Set fischieranno i sensori): mi sento una merda mentre lo dico, ma ascoltare i Faust o i Can, oggi, è ancora molto più arrapante che nel 74, e solo i Contorsions reggono lo sguardo, forse... se solo i Lounge Lizard avessero fatto un disco, eh, se mio nonno avesse le ruote...”
(Red Vinyle, Frigidaire n. 1, novembre 1980)
Reduce da una lunga tournée che mi ha visto rimbalzare tra la farmacia di Piazza Sonnino e vari appartamenti in Trastevere, vittima consenziente del mio hobby preferito, torno in redazione e cosa trovo sul mio tavolo? L’ultimo numero di una fanzine romana per baristi no-wave, chiamata «L'Espresso», aperta a bella posta su un articolo che, fin dalle prime righe, mi fa tornare impellente la voglia di riprendere immediatamente la tournée dì cui sopra e dimenticare l'infame mondo della critica musicale italiana: il cialtrone Roberto Gatti, forte di un'improbabile licenza media, scrive che Frigidaire ha lanciato sul mercato discografico «la musica inumana», attribuendo a noi e ad altri l’invenzione, esclusivamente sua, di questa definizione pelosa e senza senso.
Senza il più minimo rispetto per eventuali intelligenze che lo stessero leggendo, questo cafone del «Jazz pop rock» accomuna Maurizio Marsico ai Liquid Liquid, Walter Carlos ai Soft Cell, Ranxerox a Maurizio Turchet, in un delirio stronzo, corredato dalle opinioni del «critico rock dell'Unità» e del «critico musicale del Giorno» (come a dire la crema della sfiga), il tutto sotto la bandiera, appunto, della «musica inumana».
II bisogno intossicato di mettersi in mostra, di coniare a tutti i costi la nuova etichetta, spinge queste carogne del giornalismo musicale a rovistare in tutte le pattumiere del rock pur di mettere in bocca a musicisti indifesi spropositi che non si sono mai sognati di dire, per poterci infine polemizzare nei ristretti ma pagatissimi ambiti delle loro rubrichette del porcodio in musica.
Ma come si fa a dire che gli Orchestral Manouvres in the Dark sono inumani? E i Liquid Liquid che fanno del banalissimo funky? E’ l’Espresso che vi fa diventare così? Gatti, ci fai o ci sei?
(Red Vinyle, Frigidaire n. 15/16, febbraio/marzo 1982)
Come vedete, ancora una volta tutta roba di e per angeli dalla faccia sporca.
POST SCRIPTUM (del luglio 2015)
Non sono uso a cortesie, ma nel caso di specie si tratta di Michele Mordente, quello che io definisco l’esecutore artistico (con Alessandra Tamburini) di Stefano Tamburini, il quale sta pubblicando e pubblicherà materiale raro di Tambura (e non solo). Ecco la pagina Fb rilevante:
https://www.facebook.com/musclesedizioni?fref=ts
NOTA: I due testi di Red Vinyle sono © degli Eredi di Stefano Tamburini, il comunicato stampa è © Frigidaire, la scansione e l'originale di Stefano Tamburini sono © dei rispettivi proprietari per l'oggetto .
[1] Ci hanno provato, in buona fede.
[2] Cercatevi Tenere violenze.
[3] Estratto iniziale del comunicato stampa del 24 aprile 1986 pubblicato da Frigidaire sul numero 66 del maggio 1986.
[4] Frigidaire, n. 21.
[5] Siete pregati di non cercare di copiare l’idea.
[6] In collaborazione con Pazienza e Liberatore.