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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
16/01/2018
Oxbow
ovvero America, America, where's your dream?
Vagabondare nelle discografie internazionali può rendere spaesati, e regalare, al contempo, alcune certezze. Questa, ad esempio: nella mia più che trentennale esperienza d’ascoltatore, mai, mai, ho presentito con tangibile immediatezza una intensità di dolore e disperazione come nella musica rock americana.
di Vlad Tepes

Vagabondare nelle discografie internazionali può rendere spaesati, e regalare, al contempo, alcune certezze. Questa, ad esempio: nella mia più che trentennale esperienza d’ascoltatore, mai, mai, ho presentito con tangibile immediatezza una intensità di dolore e disperazione come nella musica rock americana.

Perché? Esiste una particolare attitudine di questo popolo verso la sofferenza e l’emarginazione? Quale leviatano dagli occhi ciechi agita le acque sudice della loro coscienza nazionale?

Me lo chiedevo, en passant, piluccando alcuni scrittori americani consigliati da un’amica; più che scrittori memorialisti dell’emarginazione. Fra i tanti: Jack Henry Abbott (Nel ventre della bestia), Jack Black (Non c'è scampo), Frederick Douglass (Memorie di uno schiavo fuggiasco), Frederick Exley (Appunti di un tifoso), Jim Tully (Beggars of life). E poi, a livello alto: Edward Bunker e Cormac McCarthy. Malcolm X, Goh-ya-tlay, John Steinbeck. La schiuma della società, un campionario umano di fuorilegge.

L’ascendenza del calvinismo e del puritanesimo bianco dei neo americani. Una visione intransigente che, negli spazi sterminati e vergini del nuovo mondo, poté dilagare in un Moloch spietato e inemendabile dal perdono. Dramatis personae: un Dio onnipotente e autosufficiente, che distilla la grazia dall’eternità; i crociati della fede, i prescelti, incaricati metafisicamente di fondare la terra promessa; e gli esclusi dal disegno divino: poveri, indiani, negri, eccentrici, vagabondi, eretici, prigionieri, ribelli.

A questi pensava John D. Rockefeller[1], l’epitome dell’americano predestinato:

"Lo splendore e la fragranza della rosa American Beauty, che deliziano chi la possiede, si può ottenere solamente sacrificando i boccioli che le nascono intorno. Non è una tendenza malvagia del mercato, ma la semplice applicazione delle leggi naturali e divine".

Uno scelto mazzo di rose preziose e rare cresce a danno dei boccioli minori, quelli più deboli, sacrificabili dal Giardiniere Divino – colore che, teologicamente, sono fuori della grazia di Dio.

Al volto ineffabile e onnipotente di Dio si sovrappone, quindi, la nazione stessa, l'America, e un individualismo economico libero da quelle pastoie morali dimenticate in Europa – il capitalismo purissimo: ed ecco la deità una e trina che ammicca dalle banconote da un dollaro, mattone basico della piramide sociale.

Negare una qualunque persona della nuova Trinità significa negare inevitabilmente le altre due. Per questo chi dice no o rivendica il pane è un sovversivo. Chi è povero merita di esserlo poiché fuori del disegno di Dio; oppure è un apostata del capitalismo, linfa della nazione; o un nemico della Patria. Quante volte abbiamo visto queste tre accuse rincorrersi e avvinghiarsi l'un l'altra, vomitate come un cespo di serpenti dalla bocca di politici, preti, nazionalisti, democratici o redneck?

Chi è fuori è fuori. Non esiste remissione a tali peccati.

Le regole del Gioco sono già dettate e inderogabili.

Appena nasci devi sederti e giocare. Al tavolo possono partecipare tutti, secondo la Legge.

Qualcuno ha poche fiches, alcuni ne hanno di più.

Ad alcuni arrivano le carte migliori, ad altri le scartine. Non si parte a pari merito, mai, nonostante le regole dicano il contrario; ma pochi conoscono le vere regole del Gioco, e quasi tutti i giocatori ignorano la reale natura del Gioco: è sempre stato così! Alcuni possono rilanciare, altri sono costretti a passare la mano, molti si alzano e rimangono nei dintorni: puliscono il tavolo dai cerchi umidi lasciati dai bicchieri, servono i salatini, pietiscono le mance e gli scarti dei pasti, vigilano come buttafuori, aspettano il colpo di fortuna insperato: che qualcun altro ceda il proprio posto al tavolo.

In realtà nessuno osa uscire dallo scannatoio. Non ci si ritira mai! Questo è impossibile. È il tacito principio che ognuno porta diluito nel sangue: non si esce dal Gioco[2].

Per i temerari vige il dileggio e l'ostracismo civile; il fuoriuscito ideologico può essere ucciso senza temere pena. Egli è il nuovo Waldgänger, il reietto, esiliato nei deserti, nelle paludi, sulle montagne più impervie: qui troverà la morte o la trasfigurazione in eroe (come Beowulf, Karl Moor, Mikhail Kohlhaas).

Ecco perché le voci dell'hardcore e dell’alternative rock americano sono così aspre e definitive. Essi sono banditi; e per loro la scelta è fra morte e vendetta.

David Yow, Rob Tyner, Jello Biafra, Alan Dubin, Mike Hard, Eugene Robinson - centinaia d’altri - gridano l’angoscia di chi è costretto all'obbedienza cieca; o alla perdizione.

Le tre opere degli Oxbow[3] (l’esordio, Fuckfest, una delle punte artistiche, Let Me Be A Woman, e la raccolta, con inediti, A Love That's Last) costituiscono quasi la metà della loro scarna discografia.

Difficile trovarne una più feroce e irreprensibile.

 

[1] Esemplare perfetto. Discendente di calvinisti francesi; il padre fu un ciarlatano (un medicine man da fiera del West). Accumulò, a capo della Standard Oil, un patrimonio decuplo rispetto a quello di Bill Gates.

[2] A tale proposito sarebbe bello leggeste il racconto di Shirley Jackson, La lotteria.

[3] Eugene S. Robinson, voce; Niko Wenner, chitarra, tastiere;  Dan Adams, basso; Greg Davis, batteria, percussioni.