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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
05/12/2022
Lee Ritenour
Overtime
Overtime è una felice intuizione di Lee Ritenour, un progetto concepito quando, sorpassati da poco i cinquant’anni, pensa a un live in studio per ripercorrere, con la solita classe ed energia, le tappe più importanti della sua carriera. Per farlo si circonda di un gruppo di artisti fenomenali, vecchie e nuove conoscenze del jazz rock, della fusion, del soul e della musica brasiliana che infervorano l’ambiente con la loro passione e maestria creando un’altra pagina importante della storia di “Captain Fingers”.

Lee Ritenour non poteva scegliere miglior titolo per questo disco: Overtime. "To work overtime" significa “fare gli straordinari” ed è qualcosa insito nel profondo dell’artista. “Capitan Dita, grazioso nomignolo ereditato da una delle sue più celebri composizioni, ha sempre coniugato il termine “musica” con quello di “passione”, finché entrambe le cose si sono magicamente trasformate anche in “lavoro”. Nessun problema, quindi, con tali presupposti a “far gli straordinari” fin dalla gioventù, dopo un’intera giornata passata in studio di registrazione come session man, e catapultarsi nei mitici locali jazz della natia Los Angeles; dallo storico Baked Potato all’epico Dontes, l’eclettico chitarrista, appena ventitreenne e già reduce da esperienze con The Mamas And The Papas e Tony Bennett, non si è mai risparmiato e ha vissuto notti magiche improvvisando insieme ad altri ragazzi virtuosi come la divina tastierista Patrice Rushen e l’imperturbabile Harvey Mason, storico batterista e inoltre membro fondatore, insieme a lui, del supergruppo Fourplay. Non è perciò sorprendente ritrovare trent’anni dopo questi due personaggi, insieme a una pletora di altri formidabili musicisti, per celebrare la carriera di Lee, in una particolare esperienza dal vivo ove gli artisti scritturati per ogni canzone si dispongono in circolo, si guardano, annuiscono, ammiccano, suonano con ardore dando il meglio di se stessi solo per il piacere di condividere l’incanto della musica.

Una maniera diversa per coinvolgere i colleghi ed eseguire i pezzi dal vivo che risulta un esperimento riuscito, come racconta con soddisfazione Ritenour: ”Lo trovo differente dal classico concerto, così abbiamo creato un’atmosfera “unplugged”, con poche persone selezionate ad assistere, senza che fossero loro il motivo dell’esibizione. L’intenzione era invece quella di suonare per noi, uno vicino all’altro, come se stessimo provando a casa mia, con quel tipo di rilassatezza. La cosa si è rivelata stimolante.”

La scelta del repertorio ha contribuito a rendere unico l’evento, immortalato anche in un DVD con una selezione più ampia e una serie di interviste integrate nel live. In ogni brano spiccano l’eccellenza dei protagonisti e il talento del chitarrista americano che rende magistrali le interpretazioni con le sue Gibson L5 e 335, cimentandosi anche con l’amata Yamaha Silent in un paio di pezzi; un vero esploratore della musica, in grado di saldare rock, jazz e atmosfere esotiche in modo originale per merito di uno stile imprevedibile, capace di aggiungere pure un tocco di blues e funk alle sue straordinarie riletture e composizioni.

 

L’inizio è sontuoso con il tributo a due giganti, Wes Montgomery e Miles Davis, rispettivamente con "Boss City" e "Blue In Green" alle quali segue una spiritata autografa "Ocean Ave.", ripescata da Wes Bound, piccolo gioiellino giunto nel 1993 al primo posto della classifica Billboard degli album jazz. Dave Grusin, leggendario compositore statunitense, artefice di alcune fra le più pregiate colonne sonore di film indimenticabili, tra cui Tootsie e Havana, e partner storico di Lee in più progetti, irrobustisce quest’ultima traccia con un formidabile piano solo, mentre il tenor sax del veterano Ernie Watts (Charlie Haden, Rolling Stones) e il basso pulsante dell’estroso compianto Dave Carpenter (Buddy Rich, Allan Holdsworth) non mollano di un millimetro.

Gli incroci con il passato che rendono florido il presente vivono un momento d’oro durante l’esecuzione di "She Walks This Earth": Grusin, Ritenour e il celebre songwriter brasiliano Ivan Lins, il cui il tono di voce “lamentoso” attinge a piene mani dalla malinconia della bossa nova immergendosi meravigliosamente su ritmi dall’intelaiatura jazz, rivivono gli antichi fasti dei middle-eighties, quando incisero "Harlequin", opera favolosa in grado di mettere d’accordo pubblico e critica in un solo colpo. E se le palpitanti "Sugarloaf Express" e "P.A.L.S." piacciono per la precisione dei colpi di basso di Anthony Jackson e per lo strabordante potere delle percussioni di "Mason" e dell’irrefrenabile Alex Acuna, due figure così in sintonia tra loro da sembrare quattro mani in un corpo solo, risulta stupefacente e, probabilmente miglior esecuzione del lotto, "Papa Was A Rolling Stone", grazie a soli di tromba buttati lì come se non ci fosse un domani dal nuovo re dello smooth jazz Chris Botti, e con l’espressiva Kenya Hathaway, già protagonista in "Possibilities", perfettamente a suo agio nel dar voce al classico dei classici dei Temptations. La figlia dell’indimenticabile Donny regala un’interpretazione lussureggiante, pilotata dai fraseggi unici di Lee -insuperabile il suo siparietto con Botti, all’insegna della più funambolica improvvisazione, entrambi in perfetto equilibrio su un sottile filo di nobili note- e dai vocalizzi di accompagnamento di Grady Harrell; sette minuti al fulmicotone, che piazzano questa cover tra le migliori mai ascoltate, da brividi.

 

“Sapevo che questo progetto sarebbe stato epocale, una pietra miliare nel suo genere. Non solo un momento speciale nella storia della musica, ma pure una felice scorribanda negli episodi più importanti della carriera di Lee, insieme ai personaggi che hanno svolto un ruolo rilevante nel suo percorso e maturità artistica”.

 

L’entusiasmo di un’instancabile Patrice Rushen (Carlos Santana, Wayne Shorter, Jean-Luc Ponty, Herbie Hancock) la dice lunga su quanto si siano sentiti piacevolmente coinvolti i vari artisti. "Morning Glory" e l’iconica "Captain Fingers", forse la composizione più rappresentativa di Lee Ritenour tratta dall’omonimo LP del 1977, la vedono in forma splendida mentre stuzzica amabilmente il Fender Rhodes, dimostrando quanto ci possa essere di enormemente sbagliato a pensare che questo evento sia stato solo un’operazione nostalgica.

Le prodezze del “Professor” Eric Marienthal al tenor sax unite al vorticoso valley art custom jazz bass di Melvin Davis caratterizzano la buona riuscita di "Night Rhythms", perla recuperata da un altro disco epocale del chitarrista americano, Festival (1988), in cui le influenze brasiliane raggiungono un livello notevole, arricchendo di atmosfere latine un tracciato jazz fusion mai fine a se stesso, sempre alla ricerca di nuovi paesaggi sonori.

Felice chiusura del disco sono le azzeccate "Lil’Bumpin'" e "Is It You?", con quest’ultima, singolo di successo nel 1981, in particolare a confermare, con il suo approccio soft rock, la consolidata abilità a uscire da qualsiasi steccato di genere da parte del musicista losangelino. Impeccabile dietro alle pelli in tali pezzi Oscar Seaton, una vita al servigio di personaggi del calibro di Lionel Richie, Terence Blanchard e Boz Scaggs, solo per citarne alcuni di differente orientamento, al fine di evidenziare la sua duttilità.

 

Overtime mantiene quell’aura di desiderio di sperimentazione e quella sensazione di puro divertimento che si respirava a metà anni settanta, quando gran parte di questo ensemble si dilettava nel produrre musica, e aggiunge la saggezza e l’esperienza maturata da ogni singolo nel suo percorso di vita, artistica e non. Un connubio fondamentale per rendere tale performance speciale e irripetibile. Rimangono similarmente particolari e genuini gli ultimi due lavori di Ritenour, A Twist of Rit (2015), con il fortunato singolo "A Little Bit of This and a Little Bit of That", ma soprattutto Dreamcatcher (2020), ove il suo immenso e multiforme talento si sprigiona in dodici brani pensati e creati con la sola magia delle sue chitarre, nessun altro accompagnamento, un interessante viaggio inaspettato e differente nella sua arte.