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REVIEWSLE RECENSIONI
17/02/2018
Comeback Kid
Outsider
Integrità e libertà. Coerenza e sperimentazione. Se bastasse una parola sarebbe “hardcore”, se ne servissero due sarebbero “Comeback Kid”. Nessun bisogno di presentazioni: sono una certezza. Sia per i fan, sia per la scena. E poi parliamoci chiaro, se un disco rimane in heavy rotation sullo stereo anche dopo mesi dall’uscita, serve forse un commento migliore?

Dopo nemmeno tre anni da Die Knowing (2014), i Comeback Kid hanno realizzato un disco caleidoscopico, potente e diretto. Riuscire a sperimentare, a giocare con tutti i generi che compongono il loro sound, dal punk al metal, a costo di poter essere definiti “outsider”. Restare intensi, energici e con un sound riconoscibile, nonostante i quasi vent’anni di carriera alle spalle, i molteplici cambi di formazione e il recente cambio di casa discografica. I quattro di Winnipeg dimostrano una volta di più di avere la capacità di saper espandere continuamente il loro sound, evolvendolo e confermandolo al tempo stesso.

La caratteristica principale del disco è l’eterogeneità. In soli 36 minuti riescono a riprodurre tutte le loro anime in 13 canzoni. Ognuna con una sua personalità e un suo gusto. Il sipario si apre con “Outsider”, che nei primi dieci secondi ti fa incollare alla sedia, nei primi trenta ti fa sgranare gli occhi e con il primo minuto ti fa già capire che di lì alla mezz’ora successiva non ci sarai più per nessuno. Con “Surrender Control” si saluta il nuovo batterista Loren Legare e si conviene che la magica formula che unisce melodia, gusto punk-hardcore, tirate metal e anthem è in ottima forma. Arrivati ad “Absolute” si inizia a fare sul serio, si pedala in maniera pesante e si incontra anche il primo degli ospiti nel disco, Devin Townsend. “Hell of a scene” regala il primo azzardo: in meno di due minuti vengono servite pallottole hardcore e momenti di puro punk, in sezioni ravvicinate e senza respiro. Uno scontro di ritmi che, alla fine, può definirsi un bel giocare con la struttura della canzone.

Si inizia ad entrare nel vivo e con “Somewhere Somehow” all’hardcore si miscelano toni più emotivi, ma nessuna paura, il tiro è ben lungi dall’essere intaccato. Si ha forse paura che succeda con la seguente “Consumed the Vision”? Dalle prime note lo stupore è legittimo, ma dalla volta successiva in poi si può solo sorridere sin dal primo secondo. Con “I’ll Be That” tornano le legnate (musicali), accompagnate per l’occasione dalle ottime gang vocals. Alla metà dell’album già si pensa alla devastazione che si avrà dal vivo, anche perché “Outrage. (Fresh Face, Stale Cause)” è hardcore allo stato puro, quello da pogo a sangue e anthem. “Blindspot” e “Livid, I’m Prime” non sono da meno. Con “Recover” si torna ad allentare la tensione (se così si può dire), mescolando di nuovo il sound con le sfumature più melodiche della personalità dei quattro Canadian kids. Manca già l’hardcore? In “Throw That Stone” sarà abbastanza tirato da tornare a far pulsare le vene. Si arriva così già alla fine, dove “Moment In Time”, con il featuring di Northcote, ci regala un epilogo che è anche una delle (numerose) perle di questo album.

Outsider è dinamico, ispirato, divertente ed intenso, ben composto, ben arrangiato, ben prodotto e soprattutto mai ripetitivo, capace di lasciare ad ogni ascolto una nuova scintilla nel cuore. Anche perché alla fine è la prova del tempo che la fa da padrona: quanti degli album che avete ascoltato (e si spera comprato) negli ultimi mesi li avete continuati ad ascoltare con costanza?

Perché se a mesi di distanza dall’uscita, un disco è ancora in rotazione pesante sullo stereo, è capace ad ogni ascolto di farti alzare la testa e combattere contro il mondo, di leccarti e curarti le ferite, di farti pulsare il sangue nelle vene o di farti spuntare un sorriso anche nelle giornate buie, beh, allora quello è un gran bell’album, e chi l’ha composto ha portato a termine la missione con un meritato successo.