Il nome di Fabio Capanni forse dirà poco ai più giovani, ma ai “meno giovani”, che hanno vissuto la scena alternativa italiana dagli anni Ottanta, invece, di cose ne ricorda molte. A me rimembra i dischi prodotti e distribuiti dalla Materiali Sonori, una piccola label (tuttora esistente) in quel della Valdarno, dove incredibilmente trovarono una dimora italiana gruppi di culto come Tuxedomoon, Embryo e Third Ear Band; ovvero artisti come Roedelius, Wim Mertens, Roger Eno, Harold Budd, nonché i primissimi Litfiba, Neon, Rinf, solo per citarne alcuni (e qui non posso non ricordare il bellissimo Dunarobba dei Militia).
MaSo, come all’epoca si usava citarla, era altresì in contatto con il giro belga della Crammed Disc e della Les Disques du Crepuscule, i cui cataloghi erano ricchi di quella wave post-punk che andava contaminandosi con la world music, la cosidetta minimal ambient e quella che diventerà l’attuale modern classical.
Ebbene, Fabio Capanni, oltre alla propria produzione personale, in quegli anni ha collaborato con molti artisti sperimentatori e dell’avanguardia, tra cui (come leggerete nell’intervista in calce) riveste particolare importanza Hans Joachim Roedelius, figura storica prima del kraut rock (kluster, poi divenuti cluster) e, successivamente, dell’ambient-music.
La particolarità di Capanni è l’utilizzo (oltre che del piano) della chitarra, ovvero lo strumento musicale più diffuso nel mondo, classicamente riferibile al rock con i suoi riff, gli assoli e associata mentalmente a musicisti lungocriniti che si “contorcono” sul palco; insomma, da un certo punto di vista, l’antitesi della musica classificabile come sperimentale e/o di ricerca.
Ecco la ricerca musicale di Capanni dimostra come tale assioma sia uno dei tanti luoghi comuni che è possibile sfatare. Se inoltre pensate che i suoni dell’album risultano essere il solo frutto dei personalissimi effetti creati dalle sei corde di questo strumento, senza l’ausilio di sintetizzatori o generatori di suono di natura digitale, il risultato è stupefacente.
Ma quale genere di musica è racchiusa nel solco di questo doppio LP? Come potrete leggere nell’intervista gentilmente concessa, ciò che mi ha personalmente colpito è quello che Fabio definisce come un “ritorno a casa”, ovvero la sua rinata voglia di comporre dopo un lunghissimo tempo di stasi.
Lasciando alle sue parole la spiegazione più esaustiva di quanto sopra richiamato, dal punto di vista musicale, mi pare che questo ritorno si sia declinato nel recupero del suo sound “personale” che tuttavia risulta come asciugato e reso più essenziale; come se il musicista abbia preso maggiore conoscenza che la musica nel suo fluire debba far spazio al silenzio tra una nota e l’altra.
Altro elemento fondamentale della poetica di Fabio è il rapporto con la professione di architetto che svolge, dove le antitesi ombra-luce, chiaro-scuro, sono elementi fondanti della creazione di spazi fruibili per le necessità e gli interessi degli esseri umani (edifici, teatri, chiese, scuole) e trovano riverbero nella sua musica (e anche un forte richiamo in copertina).
Si tratta quindi di una musica che presenta delle textures musicali che ibridano l’ambient con suoni “soffici” di stampo classico, quasi a rappresentare i diversi e cangianti flussi di coscienza che attraversano l’anima.
Sin dall’intro di “inside” Fabio ci convoca per seguirlo in un percorso personale che si snoda in una serie di brani, tutti legati tra loro, per condurci in un viaggio musicale segnato dalla raffinatezza della strumentazione classica utilizzata, dove si innesta già a partire dal secondo pezzo, “flowing”, il flicorno di Luc Van Lieshout (componente per un periodo dei Tuxedomoon) a dare maggiore “ariosità” alle composizioni, come accade anche nella successiva “softly returning”. E, nel proseguire l’ascolto, come non amare le figurazioni pianistiche di “the sky above”, oppure la stasi eterea di “by this window”, per chiudere con le iridiscenze di “outside”?
Nell’intervista che segue potrete leggere i concetti che stanno alla base del fare musica esposti dal diretto interessato, e non vi nascondo che i contenuti sono densi, ma spero che possiate apprezzarli, essendo concetti che aprono prospettive intriganti rispetto al far musica ed alle sue modalità di fruizione.
Quindi, in conclusione, che dire? Auspicare che anche chi legge decida l’ascolto della musica di Fabio Capanni e possa anch’egli condividere che la musica è una dimensione dell’anima che, se coltivata, soddisfa quel desiderio ultimo di bellezza che alberga, seppur talvolta confusamente, nel cuore di ognuno di noi.
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Mi ha colpito il tuo silenzio (musicale) protratto per così lungo tempo, penso dovuto, come ognuno di noi, dalle necessarie contingenze della vita (il percorso professionale, le relazioni famigliari, etc.). Però, come sostengo da tempo, la musica è una dimensione dell’anima, quindi cosa ti ha spinto a ritornare ad incidere prima Home nel 2021 ed ora Outside, dopo quasi trent’anni dall’album con Roedelius ed Alesini ed alle precedenti esperienze musicali cui hai partecipato?
Sì, sono completamente d’accordo che la musica sia una dimensione dell’anima. Sono stato un lungo tempo lontano dalla musica e in tutto questo tempo è come se la mia anima ne avesse in qualche modo sofferto, come se fosse stata privata di una sua parte essenziale. È come se mi fossi sentito un po’ smarrito, lontano da casa. È principalmente per questo motivo che il primo album solista del 2021, il mio ritorno alla musica dopo molti anni, l’ho chiamato Home. È il mio ritorno a casa, è la mia anima che si riconcilia con una parte fondamentale del mio essere. È stata un’urgenza insopprimibile. La musica ha una forza straordinaria, quando ti appartiene, non ne puoi fare a meno.
Se penso all’album ritengo che, da un lato, rimanga il legame con certe sonorità tipiche della tua ricerca musicale (mi vengono ad esempio in mente i Tuxedomoon più eterei, forse per la partecipazione di Luc Van Lieshout) dall’altro lato, mi pare che la tua ricerca musicale si sia evoluta nella ricerca di una maggiore nitidezza del suono, nel particolare della definizione di ogni singola nota, in una ricerca di una maggiore essenzialità. Noto altresì delle similitudini con il tuo lavoro professionale, penso, ad esempio, all’essenzialità delle linee architettoniche, la valorizzazione della luce, si tratta di una supposizione o trova riscontro nel tuo pensiero?
Nel press kit di presentazione dell’album viene posto in risalto come la tua musica sia essenzialmente la rappresentazione di spazi, ovvero come il tempo sia legato allo spazio da un rapporto indissolubile. Sopra ho fatto riferimento alla musica come dimensione dell’anima, nel flyer si parla di spazi dell’anima, potresti approfondire questo punto che mi pare molto importante nella tua poetica musicale?
Senz’altro nella mia musica abitano tutte le esperienze fatte in gioventù con alcuni musicisti della scena d’avanguardia internazionale. Ma inizierei dal suono, che per me ha un valore particolare. Sotto questo aspetto è stato per me fondamentale collaborare per oltre quindici anni con Hans Joachim Roedelius. Ricordo bene la mia sorpresa quando, seduto al pianoforte, Roedelius suonava una singola nota e la lasciava sospesa per molti secondi, la ascoltava con attenzione, come a cercare qualcosa che si stava per rivelare in tutta la sua purezza e bellezza. Era un momento magico, direi sacrale, dove musica e silenzio si sfioravano esaltandosi a vicenda. Da quell’esperienza ho imparato molto sul suono, ma soprattutto sul silenzio. Oggi, con un’altra maturità musicale rispetto alle mie esperienze giovanili, considero il silenzio una parte fondamentale della mia musica.
Uno dei temi ricorrenti di una certa parte delle arti figurative dei secoli passati, è quello dell’horror vacui, cioè di un certo timore dell’assenza di figurazioni, del vuoto, dove sguardo e pensiero possano perdersi e cercare una dimensione diversa da quella reale. Ecco, credo che in musica quel vuoto sia in parte riconducibile al silenzio e che una delle più grandi trasformazioni indotte dalla musica contemporanea (John Cage ne è un esempio cristallino) sia stata proprio la trasformazione del silenzio in un valore positivo. Con queste convinzioni sto lavorando a un nuovo progetto dove il tema centrale è proprio il rapporto fra musica e silenzio; quando invio nuovo materiale a Russ Curry dell’americana Curious Music che ha prodotto Outside, per condividere suoni e pensieri di questo progetto, il titolo è proprio “music and silence”.
I miei suoni però non possono prescindere dal mio approccio spiccatamente personale alla chitarra elettrica, dalla quale mi piace da sempre “estrarre” suoni che, al primo ascolto, possono sembrare prodotti da altri strumenti, ma che in realtà sono del tutto originali proprio perché ottenuti esclusivamente dalla vibrazione delle sei corde e non dall’uso di un sintetizzatore o generatori di suono digitali. Il processo compositivo, che di volta in volta può percorrere direzioni diverse, ruota sempre intorno al suono della mia chitarra che è il centro della mia musica e forse ne è il principale tratto distintivo. Sono perciò d’accordo che nella mia musica ci sia una ricerca meticolosa del suono di ogni singola nota e di una essenzialità necessaria a far risaltare le qualità dei suoni stessi.
Il parallelo con l’architettura è per me molto importante e intrigante. Su questo rapporto ci sarebbe molto da dire, ma cercherò di essere molto sintetico: la disciplina dell’essenzialità mutuata dall’architettura moderna rappresenta certamente un viatico importante per la mia dimensione attuale di musicista e il rapporto spazio/tempo, che è fondativo nell’architettura, assume un valore importante anche nella mia musica proprio perché la musica, per me, è innanzi tutto rappresentazione di spazi e di luoghi, che naturalmente non sono reali ma proiezioni dell’anima, giusto per tornare ad un tema che abbiamo affrontato in precedenza.
Non è un caso che il titolo del mio nuovo album Outside sia un avverbio di luogo e che il titolo del precedente sia un sostantivo che si riferisce al luogo più importante per ogni essere umano: casa (Home). Ancora: come il rapporto spazio/tempo trova rispondenza tra architettura e musica, così il rapporto luce/ombra che informa l’architettura in tutte le sue manifestazioni, si trasforma nella mia musica nella tensione musica/silenzio secondo un approccio che ho precedentemente descritto.
Non sono concetti semplici da esplicitare ma certamente permeano il mio processo creativo e ne rappresentano un tratto distintivo.