Quando nel 2021 gli Inhaler, band capitanata da dal cantante e chitarrista Elijah Hewson, figlio di una star di prima grandezza come Bono Vox, frontman degli U2, pubblicarono il loro debutto, It Won’t Always Be Like This (qui la recensione), tutti si chiedevano se la prole di cotanto padre sarebbe stata in grado di percorrere con altrettanto merito la strada del successo. Insomma, Elijah era solo un figlio di papà o, davvero, un talento meritevole di assurgere agli onori delle cronache?
Se il giudizio su una band prescindesse dal valore artistico della stessa, ma si basasse solo ed esclusivamente sui dati di vendita, nessuno potrebbe obiettare sul fatto che gli Inhaler abbiano fatto centro. It Won’t Always Be Like This ha debuttato al primo posto nella classifica degli album ufficiali nel Regno Unito e in Irlanda. Il secondo album, Cuts & Bruises (2023 - qui la recensione), ha raggiunto la vetta delle classifiche irlandesi e si è piazzato al secondo posto nella classifica inglese. Dopo il successo dei due album, il quartetto ha trascorso gli ultimi anni in tournée e ha supportato artisti del calibro di Arctic Monkeys, Harry Styles e Kings of Leon.
Insomma, numeri mica male per una band che, si pensava, avrebbe vissuto crogiolandosi nell’onda lunga della fama universale della band paterna. Invece, qualcosa di buono, soprattutto nel disco di debutto si era ascoltato: la band si era dimostrata abile nel creare canzoni energiche, atmosferiche e, a volte, aggressive, che suonavano al contempo classiche e indie, vibranti e piacevolmente melodiche. Ma già alla seconda prova, il progetto mostrava la corda di un tessuto un po’ logoro: Cuts & Bruises non era certo un brutto album, ma, in definitiva, non spostava l’ago della bilancia e si fermava a metà del guado, proprio su quella sottile linea di confine che separa i più abusati clichè indie rock da alcune idee che avrebbero potuto proiettare la band verso un suono più originale e identificativo. Insomma, il più classico dei “vorrei, ma non posso”.
E allora ben venga il nuovo corso di Open Wide, un disco che mostra una netta evoluzione rispetto ai precedenti lavori degli Inhaler, introducendo una direzione più pop nel loro sound e raggiungendo un ottimo equilibrio fra melodia, ricchezza strumentale e la sfaccettata varietà di canzoni tutte egualmente catchy. Canzoni che godono di arrangiamenti moderni, ma che non smettono di essere legate agli anni ’70 e ’80, dando vita, inoltre, a un piacevole connubio anche con elementi di elettronica e di brit pop.
Hewson figlio è un ottimo frontman, canta bene, ma per quanto cerchi un proprio stile espressivo, il timbro ricorda spesso quello del padre, innescando inevitabilmente paragoni con la band del noto genitore. Poco male.
"Open Wide" è un piacevole disco di pop rock, elegante e orecchiabile, che inanella alcune buone canzoni con "All I Got Is You" (con quel riff un po’ alla Smiths), "Billy (Yeag Yeah Yeah)", dai sentori quasi yacht rock o la title track, ibrido fra ritmiche dance e un crescendo melodico che richiama gli U2 (quelli più pop, ovviamente).
In definitiva, ci troviamo di fronte a un album decisamente mainstream, ma che lo è per scelta consapevole determinata dalla volontà di cercare una propria identità e, probabilmente, anche per aumentare ulteriormente la fetta di consensi (che, infatti, pare in crescita). Se questo è lo scopo, il bersaglio è decisamente centrato. Certo, nei quasi cinquanta minuti del disco non c’è nulla di davvero memorabile, nulla che ci faccia gridare al miracolo. L’ascolto, però, è piacevolissimo e viene voglia di rimettere il cd nel lettore, con la sensazione che gli Inhaler, abbiano trovato finalmente la propria dimensione e una spinta creativa che li porterà a migliorare in futuro la loro proposta. A meno che, il rischio c’è, non facciano la fine dei Coldplay.