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MAKING MOVIESAL CINEMA
Onward - Oltre la magia
Dan Scanlon
2020  (Walt Disney Pictures)
FANTASTICO ANIMAZIONE
all MAKING MOVIES
21/10/2020
Dan Scanlon
Onward - Oltre la magia
Si può accusare la Pixar di giocare facile, di cercare l'emozione e le lacrime con trucchi collaudati, ma la verità è che ci mette il cuore.

La magia, anche quando c'è, la si può perdere per strada.
Capita se la tecnologia e le invenzioni rendono più semplice e meno faticoso quello che la magia con impegno e dedizione creava.
Capita se una grande casa di produzione capisce che i sequel e i sequel dei sequel possono avere lo stesso successo di idee originali, generando incassi e nuovo marketing a costo minore.
E quando le idee originali arrivano, diciamolo pure, non sono originali come un tempo.
Si rifanno a schemi noti, non stravolgono come un tempo mondi e prospettive.
Si parla della Pixar, ovviamente.
E ammettiamolo, i suoi ultimi titoli originali datati 2015 e 2017 non erano così eccezionali.
Il viaggio di Arlo può essere considerato il più disneyano dei suoi film (assieme a Ribelle, va bene) e anche il meno riuscito.
Coco sarà anche stato in grado di sciogliere ogni cuore di pietra per il suo messaggio e per un'animazione che lascia a bocca aperta, ma entrambe erano storie fatte a tappe, di lunghi percorsi per arrivare a una meta piuttosto prevedibili nel loro svolgimento.
Così sembra essere anche con Onward.
Sembra, si badi bene.

Perché pure qui il cambio di prospettiva è minimo (un mondo magico che si è però omologato e somiglia molto al nostro, seppur abitato da elfi, fatine, centauri e manticore), pure qui la trama è scomposta in tappe ma in questo caso sono amalgamate, legittime, coerenti e ben studiate.
Ci si ispira a Dungeons & Dragon, quel gioco da nerd reso ormai popolarissimo da Stranger Things in poi, o da quando essere nerd non è più nerd.
Ma andiamo con ordine.
Di cosa parla Onward?
C'è Ian.
Timido, impacciato, orfano di padre.
Nel giorno del suo sedicesimo compleanno che non va come aveva sperato, il regalo più inaspettato arriva proprio da quel padre: un bastone magico e un incantesimo per rievocarlo per 24 ore.
Ci prova Barley.
Quel fratello scapestrato, nerd fino al midollo, metallaro (una colonna sonora rock? c'è, anche se edulcorata) ed esperto di quella magia che è andata perduta.
Invadente e casinista, unico ad avere tre ricordi di quel padre che non c'è più, non evoca nulla.
Ma è Ian lo stregone di famiglia, Ian che riesce ad riportare in vita il padre, o almeno le sue gambe.
Già.
Un mezzo busto, quello sbagliato.
Quello che non vede, non sente, non può parlare. Può solo farsi capire a colpi di scarpa.
Ian e Barley partono in missione: devono solo recuperare una nuova Gemma di Fenice per completare l'incantesimo.
Solo si fa per dire.

Inizia così la loro avventura che passa per locande un tempo infernali, per strade tortuose, autostrade affollate, per inseguimenti ed incantesimi da lanciare. Ma soprattutto, per una collaborazione non facile fra loro, così diversi, così testardi, mentre una madre si lancia alla loro ricerca e una Manticora cambia vita prendendo lo spazio comico del film.
Saranno tappe, ovvio, saranno indizi e avventure e scontri interiori o contro fatine centaure.
Queste sfide hanno però lo spirito del gioco a cui ci si ispira e non sembrano passaggi forzati per arrivare a quel finale bellissimo e commovente che già ci si aspetta.
Anche perché quel finale, come il percorso stesso, sa sorprendere per come cambia le carte in tavola.

Si può accusare la Pixar di giocare facile, di cercare l'emozione e le lacrime con trucchi collaudati, ma la verità è che ci mette il cuore.
Se la Disney sfrutta da sempre il tema degli orfani, qui la sua coinquilina d'eccellenza mette in scena un rapporto tra fratelli speciali, complicato e sfaccettato come chi ha un fratello sa essere.
Anche se l'animazione si ferma a ricreare elfi, orchi e fatine, passando quasi in secondo piano rispetto ai tanti riferimenti pop e easter eggs presenti sullo sfondo, senza incantare come nell'Aldilà di CocoOnward parla al cuore, sembra parlare proprio a me.
A me, che da quella felpa, da quell'audiocassetta, da quel ballo imbarazzante ho continuato a trattenere le lacrime, arrivando a piangere in un finale perfetto che mi fa credere che la magia esiste ancora, e non smetterà mai di esistere nel buio di una sala, in cui ci sente capiti, accolti, amati.


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