Chester Bennington se ne è andato il 20 luglio del 2017, in circostanze oscure, che hanno dato vita a tutta una serie di speculazioni e ricostruzioni postume, che francamente lasciano il tempo che trovano. Di sicuro, la sua morte ha spezzato il cuore non solo a milioni di fans sparsi in tutto il mondo ma anche ai suoi stessi compagni di avventura, che probabilmente sanno qualcosa in più di ciò che possiamo immaginare, ma che, in fin dei conti, come noi, sono stati colti di sorpresa dalla prematura comparsa. Un fulmine a ciel sereno e un lutto difficilissimo da rielaborare, artisticamente e umanamente.
Se c’è qualcosa al mondo che possiede davvero una forza catartica e consolatoria, questa cosa si chiama musica. Ecco, allora, l’idea di celebrare l’amico scomparso, sostituendo le tante, e spesso inutili, parole, con un live, che ne ricordasse adeguatamente la persona, l’arte, il talento e, soprattutto, quella straordinaria vitalità che ha trasformato i Linkin Park in una delle band più seguite e amate di sempre.
Una breve premessa è d’obbligo. Per quanto spesso inseriti, un po' aprioristicamente, nel genere nu-metal, i Linkin Park sono oggi (si ascoltino questo live e gli ultimi lavori in studio) una band che col rock ha ben poco a che fare, avendo imboccato, con più decisione di prima, una strada che punta al pop da classifica e al passaggio radiofonico. Non certo una sorpresa: la band losangelina ha sempre avuto un feeling molto stretto con i piani alti delle classifiche, fin dai tempi del loro capolavoro indiscusso Hybrid Theory (2000). Tuttavia, se agli esordi quella miscela sperimentale tra chitarre ruggenti e hip hop, tra i testi personali e sofferti di Bennington e un’elettronica piegata alle esigenze della causa dall’abile mano di un deejay, suonava credibile e seducente, col passare del tempo il gruppo ha perso ispirazione e forza propulsiva, continuando una carriera col pilota automatico inserito e percorrendo rotte assai prevedibili.
Il disco contiene una selezione di sedici brani presi dal One More Light World Tour, in cui compaiono quasi tutte le canzoni tratte dal settimo e ultimo album in studio del gruppo e alcuni imprescindibili cavalli di battaglia. Ora, a prescindere da quanto appena scritto sull’evoluzione artistica dei Linkin Park e tenendo ben presente che non stiamo parlando di una rock band, bisognerebbe avere le orecchie foderate di preconcetti per non accorgersi che, comunque, anche da un repertorio così così emergono autentici gioielli. La title track (che è diventata una sorta di tributo postumo che i fans cantano per ricordare Chester Bennington), What I’ve Done e Numb sono ottime canzoni, Crawling è un capolavoro a prescindere, ma in questa versione live rallentata è capace di spezzare il cuore anche al più ruvido degli ascoltatori, e In The End cantata, parola per parola, dal pubblico è qualcosa che lascia storditi d’emozione.
Insomma, se è vero che i Linkin Park da tempo hanno intrapreso la loro parabola discendente e che la mancanza di Bennington è una ferita che molto difficilmente potrà essere rimarginata, questo dignitoso live celebrativo è quanto meno un bel modo per salutare un ragazzo che, nel bene e nel male, ha lasciato un segno nella musica americana del nuovo millennio.