James LaBrie alla voce, John Petrucci alla chitarra, John Myung al basso, Mike Portnoy alla batteria e Derek Sherinian, tastiere. Formazione classica per un disco live, suonato ai massimi livelli, che i racchiude il meglio che i Nostri seppero distillare nel decennio precedente ad esso (dall'arrivo di LaBrie, 1990).
Ho sempre esitato di fronte a Dream Theater e Rush; la magniloquenza del tono, gli scarti strumentali, la complessità quasi artificiosa degli arrangiamenti venivano esacerbati da un virtuosismo spinto, che non arretrava di fronte all’ostentazione (gli assoli di prammatica). Vi si intravedeva l’estrema sublimazione del progressive rock, defunto alla fine dei Settanta, contaminato dal nuovo metal insorgente nei primi Ottanta, fra cui spiccavano Iron Maiden e Metallica (gruppi che vennero, infatti, omaggiati in due cover concerts: i Dream Theater riproposero i brani di Master Of Puppets e The Number Of The Beast).
Tale monumentalità sonora aveva, peraltro, il difetto d’essere celebrata dai consueti, insopportabili iniziati della tecnica, quelli che delibano solo Shawn Lane e Michael Angelo e Steve Vai, manco fossero i Colossi di Memnone a Tebe.
C’era materiale sufficiente a scansarli per sempre. Invece il caso mi fece capitare fra le mani questo doppio CD a prezzo irrisorio e, da allora, fin dal primo ascolto fatto quasi per inerzia, scoppiò un amore senile per i bostoniani. A conferma che i pregiudizi (o i giudizi dati con lo stomaco) sono i nostri maggiori nemici.
Il disco è un gioiello, c’è dentro tutto: “Pull Me Under”, una strepitosa “Take The Time” (con un inserto sonoro di Nuovo Cinema Paradiso: “Ora che ho perso la vista, ci vedo di più”), “Caught In A Web”, “Lie”, “Lines In The Sand”, “Metropolis”; e ovviamente abbondano gli assoli, di Petrucci, Portnoy e Sherinian, ma va bene così.
Due ore e mezza del meglio dei Dream Theater, suonato splendidamente. Da ascoltare subito.