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REVIEWSLE RECENSIONI
On The Widow's Walk
The White Buffalo
2020  (Snakefarm Records)
AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS ROCK
7/10
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05/05/2020
The White Buffalo
On The Widow's Walk
Il ritorno di Jack Smith, alias White Buffalo, con un disco coeso e ben suonato, ma meno ispirato dei precedenti

Jake Smith, titolare del progetto White Buffalo (il nome rimanda al bisonte bianco, animale sacro per i nativi americani), si è costruito, disco dopo disco, una considerevole notorietà mediatica, conquistando platee di fan sempre maggiori, grazie a una consistente attività concertistica e al passaggio di alcune sue canzoni nella colonna sonora dell’acclamata serie Sons Of Anarchy. Un successo meritatissimo, nato prima in patria e poi estesosi in tutta Europa, grazie a un filotto di dischi appassionati e un sapiente ibrido di country, blues e rock, profondamente radicato nella tradizione americana.

Giunto nel pieno della maturità artistica, Smith ha ormai perfezionato un suono e un linguaggio, in cui la ruggine americana che ossida le sue storie di vite ai margini, di amori finiti, di perdizione e riscatto, trova forza espressiva in un mood altalenante fra barbagli di speranza e crepuscolari malinconie, tra sciabolate elettriche ed evocative ballate col cuore in mano.

Registrato in presa diretta, con il contributo di quella che Smith definisce la sua Jelly Crew (il batterista Matt Lynott, il bassista Christopher Hoffee, e soprattutto Shooter Jennings in veste di pianista e produttore) questo nuovo On The Widow’s Walk ricalca gli schemi del precedente Darkest Dark, Lightest Light (2017), amalgamando alla perfezione americana e rock, impeto elettrico e momenti acustici appassionati e riflessivi, liriche profonde e umorale sincerità. Il tutto rielaborando, attraverso un proprio stile ben definito, assonanze con Bruce Springsteen e Pearl Jam, questi ultimi evocati dal timbro vedderiano della voce di Smith.

Canzoni diritte e dirette, prive di artifici stilistici, che prendono la mira e centrano il bersaglio con spiazzante facilità. Eppure, rispetto ai lavori precedenti, qualcosa manca. A parte forse la contratta e inutile Faster Than Fire, sferragliante ma sostanzialmente innocua, in scaletta non ci sono brutte canzoni; tuttavia, sembra che in On The Widow’s Walk, nonostante l'approccio quasi live dell'esecuzione, abbia prevalso il mestiere sulla libertà espositiva, la messa a fuoco sull’inquadratura.

Il disco è coeso e ben suonato, ma l’impressione (suscitata avendo ben in testa i precedenti lavori) è che manchi un po' di emozione, che il meccanismo sia perfettamente oliato ma che solo in alcuni casi Smith riesca a sfoderare il numero da fuoriclasse, cosa che avviene nella tensione maligna dell’inquietante The Rapture o nel romanticismo arreso dell’emozionante chiosa di I Don’t Know a Thing About Love, illanguidita dal mesto suono di un violino.

Un buon disco, dunque, di quelli che si ascoltano volentieri, ma che non riesce ad avvincere e convincere come invece avevano fatto i suoi predecessori. Il voto resta alto ed è meritato, ma da Smith, forse, è lecito aspettarsi qualche guizzo d’ispirazione in più.


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