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REVIEWSLE RECENSIONI
14/01/2019
Imperial Jade
On The Rise
In On The Rise, la materia un po' frusta del classic rock viene rielaborata, non solo con entusiasmo e convinzione, ma anche con idee e intuizione che rendono queste dieci canzoni qualcosa di diverso da un mero esercizio di stile.

Rockettari di tutto il mondo, unitevi! Dalla Spagna è in arrivo uno di quei dischi che intaserà il vostro lettore cd per parecchi giorni a venire. Prima di addentrarci nella recensione vera e propria, facciamo subito le dovute presentazioni. Gli Imperial Jade sono un combo formatosi nel 2012 a Barcellona, composto da cinque ragazzi con una passionaccia per il rock targato anni ’70.

Francesc López (batteria), Alex Pañero (chitarra), Arnau Ventura (voce), Hugo Nubiola (chitarra e tastiere) e Ricard Turró (basso) hanno pubblicato nel novembre del 2015 un primo album, Please Welcome Imperial Jade, che ha riscosso parecchi consensi in patria, tanto che nel tour di promozione del disco, la band catalana ha aperto per gente del calibro di Rival Sons, Europe e Ten Years After.

Le registrazioni di questo nuovo album sono iniziate nel 2017, quando gli Imperial Jade si sono trasferiti negli States e sono stati affiancati da John Netti, già ingegnere del suono per Rival Sons, Europe, Black Stone Cherry e Bon Jovi. Il risultato di un anno di lavoro, intervallato da numerosi concerti, è On The Rise, sophomore brillantissimo, in cui la materia un po' frusta del classic rock viene, invece, rielaborata, non solo con entusiasmo e convinzione, ma anche con idee e intuizione che rendono queste dieci canzoni qualcosa di diverso da un mero esercizio di stile.

Se, infatti, le fonti di ispirazioni provengono da quel decennio, gli anni ’70, in cui la lingua del rock era l’idioma più conosciuto, gli Imperial Jade spostano gli accenti, evitano l’ovvio, e innervano le canzoni di fremiti funky, di blues con matrice sudista e di improvvise deviazioni rispetto ai moduli standardizzati del suono. Non c’è un filler, e questa è già una notizia, visto che siamo al cospetto di una giovane band che antepone l’istinto al mestiere (che c’è, ma è secondario); ma, soprattutto, le canzoni sono davvero efficaci, e crescono, ascolto dopo ascolto, testimoniando anche un gran lavoro in fase di produzione, che però nulla toglie all’immediatezza della proposta.

Il groove funky rock di You Ain’t Seen Nothing Yet apre le danze con un tiro pazzesco e spalanca le porte al resto del disco, che con la successiva Dance cita i Led Zeppelin (la matrice è Custard Pie), numi tutelari di un filotto di brani che però non dà mai l’impressione di adagiarsi supinamente su ovvi deja vù. Ecco, allora, Sad For No Reason, bluesaccio tutto slide e resofonica, che derapa sgommando con un’accelerazione improvvisa, o il r’n’b travestito da hard rock della pulsante Heat Wave, oppure l’uragano wah wah che sferza la rocciosa Rough Seas.

Sono molte, insomma, le frecce all’arco degli Imperial Jade, e ci si potrebbe soffermare su ogni canzone in scaletta raccontando i pregi di una band che si eleva di una spanna sulla media di band similari.

Certo, inutile girarci intorno: On the Rise è un disco che non fa mistero di ispirarsi alla premiata ditta Plant/Page, e che rivisita, con devozione, anche filologica, gli anni d’oro dell’hard rock britannico. La proposta, tuttavia, è viva, vibrante e appassionata, tanto che, se volessimo paragonare gli Imperial Jade a una band (i Greta Van Fleet) che ha riempito le pagine dei rotocalchi musicali con fiumi di inchiostro, questi cinque ragazzi spagnoli vincerebbero il confronto a mani basse.