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REVIEWSLE RECENSIONI
05/10/2017
Leon Russell
On A Distant Shore
Pubblicato a dieci mesi dalla sua morte, On a Distant Shore, con le sue stranezze, le sue eccentricità e il suo spirito casalingo, è in realtà la perfetta testimonianza sonica di ciò che Leon Russell ha fatto per gran parte della sua carriera.

Se non fosse per Elton John, chissà se saremmo qui a parlare di Leon Russell. Già, perché per oltre trent’anni, Claude Russell Bridges è stato uno dei più grandi desaparecidos del Rock. Da pianista sopraffino ha letteralmente dominato gli anni Sessanta e Settanta, sia come session men di lusso (prima al servizio di Phil Spector poi in proprio, concedendo i suoi servigi al meglio del Rock del periodo – Delaney & Bonnie, George Harrison, Eric Clapton, Bob Dylan, Rolling Stones, Beach Boys, Byrds, Joe Cocker) sia come solista, riuscendo a sviluppare uno stile originale che ha saputo mescolare alla perfezione il Rock con il Rhythm & Blues, il Country e il Funk.

Per tutti gli anni Ottanta e fino al 2010, però, Leon Russell è sparito da ogni radar, adottando un nuovo nome d’arte (Hank Williams), girando gli Stati Uniti con il suo furgone suonando musica Country in piccoli locali fuorimano e incidendo album autoprodotti infarciti di tastiere Midi che vendeva durante i propri concerti – come avrebbe fatto un qualsiasi artista emergente, non di certo una leggenda come lui.

Nel 2008, intervistato da Elvis Costello durante il programma televisivo Spectacle, Elton John si soffermò a lungo a parlare dell’influenza che Russell aveva avuto su di lui a inizio carriera. Questo episodio fu la scintilla che portò Elton a contattare Leon, proponendogli di collaborare a un album a quattro mani. Il risultato fu The Union, uscito nel 2010 e prodotto da T Bone Burnett, uno splendido lavoro che permise a Russell di tornare sotto la luce dei riflettori, garantendogli ottime recensioni, buone vendite e una fortunata tournée. A The Union, nel 2014 Leon fece seguire Life Journey, un disco di cover molto bene accolto, nel quale, grazie anche al contributo di Tommy LiPuma, concluse il lavoro di riappropriazione e ricongiungimento con quel il tipo di musica che aveva contribuito a plasmare in prima persona.

Completato poco prima della sua morte, avvenuta a Nashville il 13 novembre 2016, On a Distant Shore è stato prodotto da Leon Russell assieme a Mark Lambert e inciso con alcuni veterani della scena Country come Larry Hall e Mike Brignardello. Al contrario di quello che ci si può aspettare, l’album non è ammantato dallo spettro della morte, anzi, e Russell sembra più in vitale e in forma che mai, con la sua proverbiale voce strascicata sempre in primo piano, divertito dalla possibilità di poter passare con disinvoltura tra i suoi generi musicali preferiti: il Rhythm & Blues, lo Swing, il Country, il Blues, il tutto accompagnato da orchestrazioni raffinate e un puntuale utilizzo dei fiati. E se a volte fa capolino il desiderio di perfezione formale e di classicità tipico dell’American Songbook, altre volte Leon punta verso un certo tipo di Jazz à la Steely Dan, grazie a un suono fresco e brillante.

Dal punto di vista della scrittura, i pezzi validi non mancano, su tutte la bella title track , “Love This Way”, “The Masquerade” e “Black and Blue”, ma, purtroppo, il confronto diretto e inevitabile con le produzioni di T Bone Burnett e Tommy LiPuma vede On a Distan Shore in leggera difficoltà. A un ascolto attento, risulta evidente come questo album non sia stato realizzato con lo stesso budget dei suoi diretti predecessori, per cui le performance strumentali e il dettaglio sonoro appaiono un po’ piatti e alcune scelte di produzione avrebbero potuto essere migliori se solo Russell e Lambert non fossero stati costretti a fare le cose in economia. Ovviamente questo non impedisce di apprezzare l’album, la sua bella scrittura e l’atmosfera fresca e rilassata che si respira ascoltandolo. Anzi, paradossalmente, questo limite può essere visto come il migliore dei pregi, perché se Life Journey, con la sua produzione sontuosa, la scelta certosina delle cover e gli arrangiamenti studiati nel dettaglio, era stato concepito da Leon come un vero e proprio testamento spirituale e musicale, On a Distant Shore, con le sue stranezze, le sue eccentricità e il suo spirito casalingo, è in realtà la perfetta testimonianza sonica di ciò che Russell ha fatto per gran parte della sua carriera.