Definita un po’ troppo frettolosamente southern rock (d’altra parte, JJ Grey arriva da Jacksonville, la città che ha dato i natali a Lynyrd Skynyrd, Blackfoot e 38 Special), la musica di JJ Grey spazia in realtà fra molti generi, mantenendo semmai, come marchio di fabbrica, un piglio orgogliosamente blue collar. Se si vuole fare a tutti i costi un aggancio con la musica sudista, si può dire che il songwriting del nostro frequenta non tanto l’ortodossia del genere, quanto semmai lo sbrigliato approccio fusion dei Widespread Panic, jam band con cui i Mofro hanno molto da condividere.
A prescindere dal gioco delle parentele, quello che però è lampante fin dal primo ascolto, è che le canzoni di Grey sono geneticamente bastarde: nascono su una robusta impalcatura rock, e crescono nutrendosi di tutto ciò che è nero: soul, funky, blues e r’n’b.
Ecco allora, per arrivare al cuore della questione, che questo Olustee può essere definito la summa del JJ Grey pensiero: la musica di un rocker bianco che ha vissuto la propria vita ascoltando tutta la discografia Stax, e che ancora oggi gira in macchina con le cassette di Salomon Burke e James Brown sotto il cruscotto. Passatismo musicale? Nemmeno per idea. Le undici canzoni in scaletta suonano freschissime, intense, immediate. Sia che il nostro si cimenti con i languori della ballata soul, sia che spinga il piede sull’acceleratore delle chitarre.
JJ Grey e i suoi Mofro mancavano dalle scene da ben nove anni, lasciando un vuoto nella discografia di quei fan che hanno seguito il musicista della Florida fin dall’inizio e che avevano goduto come ricci ascoltando Ol’ Glory (2015), bellissimo album di cui si aspettava da tempo un seguito. Olustee, rispetto ai precedenti lavori, è un album in cui l’aspetto intimista è messo maggiormente in risalto, e focalizza l’attenzione sul rapporto uomo natura, in chiave ecologista. Non solo. Grey canta le sue storie personali approfondendo temi universali quali la redenzione, la rinascita, gli incespichi esistenziali e la ricerca della pace interiore, celebrando i bei momenti trascorsi con gli amici di una vita, spesso mescolando un approccio carnale a riflessioni più profonde, magari anche nella stessa canzone.
Il risultato è un disco grintoso e al contempo affabulante, generoso nei saliscendi di una proposta, che gronda passione e onestà. L’album si apre inaspettatamente con "The Sea", una ballata malinconica che tocca le corde del cuore: chitarra acustica, le carezze degli archi, qualche nota di piano che gocciola lentamente, e la voce calda di JJ Grey che rende omaggio alla pacata bellezza del mare. Un mare fisico, certo, che è quella distesa cristallina che accarezza l’anima, che evoca e strugge, suggerendo visioni di libertà, di viaggi a toccare i confini del mondo; ma anche un mare interiore, la passione che muove l’arte, i languori delle riflessioni più intime, la tendenza a un assoluto spirituale.
L’intero disco è punteggiato da ballate di straordinaria intensità, canzoni da brivido come "On The Breeze", con quel retrogusto seventies, che fonde cantautorato a una profonda anima soul gospel, o come "Seminole Wind" (rilettura di un brano di John David Anderson), una canzone dal profondo retroterra southern, la cui progressione evoca inevitabilmente i Lynyrd Skynyrd, conducendo a un convulso finale spinto verso l’estasi da un fenomenale assolo di tromba.
Non dimentichiamoci però che i Mofro sono una grande live band, predisposta geneticamente alla jam. Ecco, allora, il travolgente groove di brani come "Rooster", un funkettone sudatissimo, che dal vivo potrebbe allungarsi a dismisura, "Wonderland", un irresistibile r’n’b per scatenarsi sul dancefloor, o "Free High", un altro funk spacca ossa, in cui chitarre e fiati s’intrecciano in un mix esplosivo. Chiude "Deeper Than Belief", struggente ballata sui tormenti esistenziali (“Sto resistendo, più profondamente di quanto credo, E lo vedo attraverso tutto lo spazio, il tempo, il pensiero e la mente, Sto resistendo, più profondamente di quanto credo”) levigata da un drammatico arrangiamento d’archi e da un seducente, quanto inaspettato uso del flauto, che pone un conclusivo punto esclamativo su un disco pressoché perfetto, il migliore di una discografia fin qui inappuntabile.
Con Olustee, infatti, JJ Grey ha ancora una volta allargato i confini del proprio talento musicale, lirico e vocale, realizzando un album destinato a diventare un classico di genere. Le canzoni traboccano di immagini e suoni di quel profondo Sud in cui il musicista vive, raccontati attraverso gli occhi di un poeta e cantati con un'anima pura, che lancia un messaggio semplice ma ineludibile: rispetta la natura e cogli l’attimo, rifletti, ma non smettere di divertirti. Mai.