Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
03/02/2023
Brenneke
Ogni mai più (Vol.1)
In questo primo EP di una trilogia che verrà completata nel corso dell'anno, Brenneke abbandona l'ironia che aveva in parte caratterizzato le sue pubblicazioni precedenti e abbraccia maggiormente disagio e disorientamento.

Che nel mondo musicale si sia da tempo esaurita la fase della militanza politica mi pare assodato. Era già stato messo a tema anni fa, ai tempi di Love dei Thegiornalisti, Tommaso Paradiso era intervenuto personalmente sulla questione e io stesso in sede di recensione avevo scritto qualcosa in merito. Ci si lamentava, e in parte ci si lamenta ancora, del fatto che gli artisti italiani siano troppo concentrati su una dimensione edonistica dell'esistenza, che la dinamica dell'apparire sdoganata dai social network abbia ormai completamente assorbito il modus operandi di chi fa musica: si parla del nulla e ci si comporta da social media manager, come se scrivere canzoni fosse un compito tutto sommato secondario.

C’è del vero in questa analisi ma è un problema più generale che riguarda il nostro rapporto con la realtà e, soprattutto, col nostro modo di gestire la dimensione pubblica.

Qualcosa però forse sta cambiando. La politica non è tornata al centro delle canzoni ma parallelamente osservo come si stia facendo strada una sorta di nuova forma di resistenza. Non una resistenza di tipo civile, non il desiderio di riappropriarsi di uno spazio collettivo; piuttosto, sembra più avere a che fare con l'esternazione del disagio da parte di chi non capisce più il mondo in cui dovrebbe vivere e non si trova a proprio agio coi meccanismi della cosiddetta società postmoderna (o liquida, per usare la celebre definizione di Bauman).

Non è un fenomeno nuovo e, in linea generale, la frattura tra l'artista e la società in cui vive è roba vecchia di due secoli almeno. Ciononostante, potrebbe essere che in futuro lo spaesamento sarà espresso in maniera molto più urgente e drammatica, lasciando perdere l'ironia (per certi versi molto costruita) che è stata un po’ la cifra dell’It Pop dal 2015 in avanti.

Nel frattempo gustiamoci la nuova uscita di Brenneke, che di questo nuovo modo di raccontare il disagio rappresenta un esempio significativo.

 

Edoardo Frasso è nato nel 1989 e dunque non è un Millenial. Appartiene tuttavia ad una generazione non ancora facilmente inquadrabile, ma che è senza dubbio la prima a dover fare i conti col peggioramento delle condizioni socio-economiche del nostro paese: sono i primi figli a guadagnare meno dei genitori, ma sono stati anche i primi ad essere risucchiati nella bolla social, senza il salvagente (illusorio o meno) del ricordo di “com'era il mondo prima”.

Ogni mai più (Vol.1) rappresenta, come bene dice il sottotitolo, la prima parte di una trilogia che sarà completata nel corso dell'anno. Anche questa scelta, ossequiosa verso la sempre più bassa soglia di attenzione dell'ascoltatore medio, è in qualche modo figlia di quest'epoca e come tale immagino che dovremo rassegnarci ad un aumento futuro della parcellizzazione dei dischi (ammesso che nel suo caso sia veramente così, perché potrebbe anche essersi trattato di una precisa scelta artistica).

Arrivato al quarto capitolo della sua avventura solista (contando anche la raccolta di inediti e rarità Da dove proviene il rumore), l'ex Il Fieno abbandona l'ironia che aveva in parte caratterizzato le sue cose precedenti, e abbraccia maggiormente disagio e disorientamento. Ne risultano cinque canzoni che da una parte utilizzano gli stessi ingredienti nel songwriting (in certi frangenti solo un po’ più prodotte), dall’altra si distinguono per testi profondi e stratificati, in grado di fornire un quadro disilluso e a tratti spietato della realtà odierna.

 

Se si dovrà dunque tornare a parlare di resistenza, lo si potrà fare a partire da “Al meno uno” (dove già il gioco di parole del titolo comunica molto), folgorante traccia d’apertura in cui una prima parte di stampo cantautorale, con una melodia ipnotica che si ripete sempre uguale, accompagnata da un giro di Synth, percussioni e cassa dritta che entra in un secondo momento, fa da sfondo ad un testo che si dipana per accumulazione di immagini, difficili da decifrare ma dal forte impatto visivo; è un crescendo d’intensità con suggestioni Alt Folk, che esplode in una sorta di refrain nella parte finale, che fissa un’epoca in cui “fingere non è più un segreto” e dove “perdere gli amici è un vanto in forma di fallimento”. Ecco, se volessimo una testimonianza del momento che stiamo attraversando e dei mutamenti drastici che a breve conosceremo a fondo, questa canzone (peraltro bellissima, tra le migliori senza dubbio del suo repertorio) potrebbe essere utile per tastare il polso della situazione.

Quel che segue non è da meno: “Gente di successo” suona un po’ Indie della vecchia maniera (perdonatemi per questa definizione raccapricciante), ritmata e chitarristica, un piglio anche piuttosto allegro, per un brano che in realtà riflette quella consapevolezza che è già patrimonio comune, secondo cui essere “un presente in cerca di futuro” vuol dire soprattutto confrontarsi con il ruolo che si vuole interpretare; perché il successo, in fin dei conti, non si misura più sui dati concreti ma sulla percezione che gli altri hanno di noi.

Poi c’è “La vita immaginata”, che vira senza troppi problemi sul tema sociale, recuperando anche una certa dose di ironia che ha però un evidente retrogusto di amarezza (“Dici quel libro mi ha cambiato la vita ma poi non mi ha mai cambiato lavoro. Siamo frammenti di una storia finita che si cercano comunque tra loro”). C’è quel “tieni duro” di fine ritornello, che non si capisce se sia un’esortazione o una battuta, ma che forse potrà essere meglio spiegato dalla successiva “Buona miseria”, che è anche uno dei due singoli che ha anticipato il lavoro. Musicalmente si tratta della traccia più complessa, nei suoi cinque minuti di durata c’è un certo percorso di evoluzione, con melodie sempre diverse, pur all’interno di un humor generale ammiccante, col suo hook di Synth davvero molto azzeccato ed un finale in cassa dritta che, sarà anche una soluzione abusata, ma funziona sempre.

Anche la conclusiva “Futuro” risulta convincente, si appoggia molto sul Synth e respira parecchio, come se tutto sommato, alla fine di questa prima parte di viaggio e dovendo concretamente immaginare quel che succederà, si ceda alla tentazione di abbandonarsi ad un cauto ottimismo, con la tenera immagine domestica del ritornello (“Non ho fretta di usarmi stasera, quindi aspettami pure alzata. Penserò a prepararti la cena se sarai affamata”). Siamo comunque nell’ambito dell’irrisolto, il senso di confusione e straniamento permane fino alla fine (“Non mi sento di avere da dire nonostante mi piaccia parlare. Ho segreti da ricollocare ma senza un passato particolare”) e riesce ad avere l’ultima parola.

 

Difficilmente si potrà giudicare questo EP senza prendere in considerazione quel che verrà dopo. Già così però, Brenneke sembra essere tornato alla grande e con tante cose da dire, nonostante quel che lui stesso canta in quest’ultima canzone.