Il tempo non è stato galantuomo con Billy Corgan. Agli inizi degli anni Novanta era considerato un idolo, il nuovo portavoce della Generazione X orfana di Kurt Cobain, che si riconosceva pienamente in lui, nei suoi testi, nella sua musica e nel suo immaginario. Gli Smashing Pumpkins, poi, erano il gruppo più rappresentativo di un certo tipo di Alternative, bravissimi nell’unire l’ambizione tipica del Rock degli anni Settanta con un certo immaginario Indie tipico degli anni Ottanta. La puntata dei Simpson “Homerpallooza” – trasmessa negli Stati Uniti nel maggio 1996 – è la perfetta fotografia di un periodo, quel periodo, nel quale il regno di Billy Corgan sembrava non potesse avere mai fine.
Invece sappiamo tutti com’è andata a finire. Sono passati ventidue anni esatti dal trionfo di Mellon Collie and the Infinte Sadness e lo status di Billy Corgan è stato di molto ridimensionato. Progetti musicali naufragati, scelte artistiche azzardate, interventi politici maldestri e una reunion, quella degli Smashing Pumpkins, che per molti – vista l’assenza pesante di James Iha e D’Arcy – è stata più di un’occasione mancata.
Con Ogilala, il suo primo album solista dopo dodici anni, Corgan ha quindi sentito la necessità di tornare in qualche modo ai fondamentali, mettendo al centro di questo progetto musicale – ideale evoluzione di In Plainsong, la tournée acustica del 2016 degli Smashing Pumpkins – la propria persona, la propria vita, le proprie canzoni, la propria sensibilità compositiva, senza ingombranti sovrastrutture. Ecco allora spiegato perché in copertina Billy abbia deciso di utilizzare per intero il proprio nome di battesimo, William Patrick, e perché vi appaiano sia la moglie Chloe sia il figlio Augustus Juppiter. È un album di rinascita, quindi, di riposizionamento, grazie al quale William, l’uomo compassato, può finalmente prendere il posto che fu di Billy, il ragazzo arrabbiato.
Prodotto da Rick Rubin e suonato per intero da Corgan – con un cameo di James Iha e qualche intervento vocale di Sierra Swan – Ogilala è un album meditativo, nel quale al centro di tutto ci sono le canzoni. Ed è sorprendente constatare come le canzoni di Corgan, ridotte all’essenziale – voce, chitarra, piano, Mellotron, qualche synth e un quartetto d’archi che interviene con discrezione – e spogliate degli elementi caratteristici dello Smashing Pumpkins sound – i muri di chitarre e le cascate di sintetizzatori – funzionano alla perfezione, confermando il fatto che Billy sia un superbo autore. Lo si sapeva, ma lo si era dimenticato. Ecco, se c’è una cosa che Ogilala dimostra, è come Corgan, a cinquant’anni, più che una rockstar sia ormai un vero e proprio autore, focalizzato quindi sul processo di costruzione di una canzone, sulla combinazione tra gli accordi e la melodia, sul perfetto bilanciamento di tutti gli elementi dell’arrangiamento, come nel caso di “Zowie” – un sentito omaggio a David Bowie – oppure “The Spaniards” e “Aeronaut”, senza dubbio i pezzi migliori del lotto.
Ora che il giovane rabbioso di “Bullet With Butterfly Wings” e “Zero” è solo un ricordo, Ogilala ci consegna un autore – e un uomo – finalmente in pace con se stesso e il suo passato, pronto per affrontare la terza parte della propria carriera con la giusta dose di serenità.