C’è una lunga strada che collega Lecco a Bergamo ma forse non è poi così lunga. Carlo Pinchetti è cresciuto nella prima città e si è trasferito nella seconda, così che oggi ha contatti e legami in entrambe. Bello ma soprattutto utile, perché se si dovesse ricostruire la sua storia, dai Daisy Chains ai Lowinsky, passando per i Finistère, si scoprirebbe che è fatta di musicisti che vanno e vengono, di abbandoni ma anche di ritorni, con l’amicizia come unico o quasi unico criterio per decidere chi farà parte della prossima line up.
Oggi i Lowinsky sono tornati. Erano partiti alla grande, subito dopo la fine dei Finistère, il progetto messo su con Matteo Griziotti, che aveva prodotto un unico, ottimo disco (“Alle porte della città”, del 2014). Poi c’erano stati diversi problemi e si erano fermati, proprio quando stavano iniziando a raccogliere i frutti dell’uscita del primo omonimo Ep.
Ci sono voluti quasi due anni, una serie di cambi di formazione al limite del rocambolesco (tipo un bassista che registra un album intero e poi se ne va prima che venga pubblicato) ma adesso ce l’hanno fatta. Il nucleo fondamentale è rimasto inalterato, con Carlo Pinchetti voce e chitarra e Andrea Melesi alla batteria. Erano loro già ai tempi dei Daisy Chains, quindi da questo punto di vista, niente di nuovo. Al basso è subentrato Davide Tassetti, che è arrivato però dopo le registrazioni (sul disco ha suonato Daniele Torri) mentre un secondo chitarrista non è stato aggiunto, col risultato che quella che era una formazione a quattro si è trasformata in un trio (sì lo so, i Wedding Present al confronto sembrano un gruppo stabile!).
Accompagnato da una copertina di grande fascino, realizzata dall’artista inglese Barney Bodoano, che rappresenta una sua personale visione del lago di Lecco (a proposito di ritorno alle origini), “Oggetti smarriti” è il disco della strada ritrovata, un manifesto di serenità e voglia di ricominciare. Sarà simbolico, ma la scaletta si apre con “Coltelli”, che era già presente nell’Ep e che assieme a “Vertigine” e a “L’ennemi” (il cui testo è costituito dall’omonima poesia di Baudelaire, cantata in lingua originale) è stata riarrangiata e reinterpretata per adeguarla ai nuovi equilibri.
Il risultato complessivo è più che soddisfacente: valorizzate dall’ottimo lavoro di produzione di Giacomo Corpino, queste tracce sono un viaggio emozionante e un filino nostalgico in quell’Indie Rock di matrice anglosassone così tanto in voga tra fine anni ’90 e primi Duemila; vi si trova un compendio esaustivo delle influenze del gruppo, con rimandi continui ma non palesemente citazionisti ad Ash, Teenage Fanclub, Nada Surf, Shins e altri nomi di questo tipo, senza dimenticare una bella spruzzata di Punk, presente soprattutto in una resa sonora che ne preserva intatta una certa ruvidezza di fondo.
La scrittura di Carlo spicca sempre per brillantezza, per la capacità di inanellare melodie vincenti (“Vertigine”, “Bandiera”, “Coltelli” sono ottimi esempi in tal senso) ma di uscire benissimo sulla lunga distanza, quando si cimenta con canzoni dal feeling e dalla struttura più ricercati (“Seppuku”, “L.M.R.”); ottime anche le ballate come “Vacanza Paradiso” o “2013”, dedicata alla prima figlia, nata proprio in quell’anno. E non manca qualche episodio più tirato e graffiante, giusto a rimarcare la loro anima più Garage (“Macigno”, “Lelaina”).
Il tutto corredato da testi mai banali, che riflettono l’età anagrafica del suo autore e che denotano una mai banale visione dell’esistenza.
Un album piacevole e ben fatto, sicuramente anacronistico ma ammantato di quella passione e di quella visione romantica che basterebbero da sole a rendere valido un progetto musicale.
Indipendente dall’esito che avrà, “Oggetti smarriti” merita tutta l’attenzione possibile. Bentornati Lowinsky.