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REVIEWSLE RECENSIONI
12/06/2020
The 1975
Notes on a Conditional Form
Con un anno di ritardo sulla tabella di marcia, i The 1975 chiudono l’era “Music for Cars” con “Notes on a Conditional Form”, un album tentacolare, eccentrico, ambizioso, ma anche molto dispersivo.

Non c’è dubbio che ascoltare Notes on a Conditional Form, quarto album dei mancuniani The 1975, sia un esperienza frustrante. Amati da molti e odiati da altrettanti, Matthew Healy, Adam Hann, Ross MacDonald e George Daniel, con quasi un anno di ritardo sulla tabella di marcia (l’uscita era stata annunciata per maggio 2019), hanno finalmente pubblicato il seguito di A Brief Inquiry Into Online Relationships, seconda e ultima parte di un ciclo denominato “Music for Cars”. Ma se il disco precedente era un lavoro estremamente a fuoco, grazie a una scrittura in grado di sintetizzare trent’anni di storia della musica Pop per poi proiettarla nel futuro, Notes on a Conditional Form è invece un album confuso e fin troppo eterogeneo, quasi fosse un mixtape oppure una playlist generata da un algoritmo mal tarato. Già, perché con i suoi 80 minuti di musica distribuiti su 22 tracce, Notes on a Conditional Form è un vero e proprio caleidoscopio di generi e stili, tanto che, durante l’ascolto, si saltella senza soluzione di continuità tra pezzi Pop, Rock, Punk e House, e ospitate di ogni genere, da FKA Twigs a Phoebe Bridges passando per Greta Thunberg, il cui monologo è presente in “The 1975”, quarta rielaborazione del tema musicale che apre ogni album della band.

Paradossalmente, è proprio questo accorato invito all’azione da parte della giovane ambientalista svedese uno dei momenti più convincenti di Notes on a Conditional Form, che funziona ancora di più grazie all’energia Hardcore della successiva “People”. Da lì in poi, però, succede un po’ di tutto, e Healy & George (che hanno composto e prodotto l’intero album) non si fanno mancare proprio niente. C’è il pezzo Folk con Phoebe Bridges (“The Birthday Party”), quello un po’ Shoegaze (“Then Because She Goes”), quello à la Bon Iver (“Frail State of Mind”), quello Alternative Country in stile Wilco (“Jesus Christ 2005 God Bless America”), quello R&B (“Nothing Revealed/Everything Denied”)  e quelli sfacciatamente Pop/Rock anni Ottanta (“Me & You Together Song” e “If You Are Too Shy [Let Me Know]), senza ombra di dubbio il genere di cose che la band sa fare meglio: se tutti i brani del disco fossero così, allora sì che l’album sarebbe un capolavoro. Ma siccome i The 1975 sembrano più interessati a sperimentare con i generi (al netto dei risultati) piuttosto che ripetere allo sfinimento ciò che riesce loro meglio, in Notes on a Conditional Form la band non si fa problemi a sporcarsi le mani pure con l’Elettronica, la House (“Yeah I Know” e “I Think There’s Something You Shold Know”) e il Dancehall (“Shiny Collarbone” con Cutty Ranks). Come se non bastasse, non mancano neppure le tracce strumentali, tra musica da camera dall’alto tasso cinematografico (“The End [Music for Cars]) e la Ambient tanto cara a Brian Eno (“Streaming”). Il compito di chiudere l’album è invece affidato a due pezzi particolari: “Don’t Worry”, una ballad scritta e interpretata dal padre di Matt, l’attore Tim Healy, e dedicata alla moglie all’indomani della nascita del figlio, e “Guys”, in cui il frontman della band prova a raccontare il sentimento di amicizia che lo lega ai suoi tre compagni di viaggio.

Al momento della sua uscita, il precedente A Brief Inquiry Into Online Relationships era stato definito da più parti come il nuovo OK Computer; ora invece si paragona Notes on a Conditional Form a lavori come Amnesiac e Zooropa, dischi ambiziosi e dall’alto tasso sperimentale che hanno proseguito con successo un discorso iniziato da capolavori conclamati come Kid A e Achtung Baby. Quelli dei The 1975 sono entrambi buoni album, questo è indubbio, ma il metro di paragone usato è fuori scala. Ovviamente sarà il tempo a stabilirlo, ma è difficile che Notes on a Conditional Form abbia l’influenza di dischi così epocali, dal momento che il panorama musicale e il pubblico sono enormemente cambiati. È molto probabile, invece, che il quarto lavoro dei The 1975 sia piuttosto da considerare come una specie di Sandinista! della Generazione Z: un tentacolare tour de force, eccentrico, iperattivo, ambizioso e un bel po’ dispersivo, il cui risultato è purtroppo inferiore alla somma delle sue parti.


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