La copertina è un fotomontaggio con le facce dei due protagonisti al posto di quelle di Totò e Peppino nel celebre sketch del vigile urbano all'interno di uno dei loro film più noti. Stessa cosa per il titolo, ripreso da quello stesso “Noio volevam savuar...” che tanto ha fatto ridere le passate generazioni e che fa tuttora parte a pieno titolo della nostra memoria collettiva, anche se probabilmente oggi appare datato rispetto agli attuali criteri di comicità.
Al di là di questo, la ripresa di tale motivo ha dietro un significato che è tutt’altro che ironico: l'emergenza Covid ha paralizzato il mondo della musica, ha bloccato totalmente il mercato dei concerti, mettendo in chiaro una volta per tutte che vivere di arte, in Italia, è alquanto complicato.
La risposta che Gianni Maroccolo ha provato a dare, regalare un disco inedito appositamente realizzato, può apparire controversa ma è perfettamente coerente col percorso di un musicista che ha sempre amato fidelizzare il proprio pubblico, come l’appena concluso progetto “Alone” ha mostrato in pieno. E così, se anche sono legittime le obiezioni di chi sostiene che “regalare l'arte equivale a svilirla”, altrettanto interessante è chi ribatte che “la vera arte viene realizzata in base ad un'esigenza, esulando da qualsiasi compenso economico”.
Due facce della stessa medaglia, per una questione che è vecchia come il mondo e che difficilmente verrà risolta sull'onda delle presenti circostanze, figuriamoci all’interno di una recensione.
L’unica opzione che abbiamo è dunque quella di analizzare questo disco a mente fredda, cercando di capire se ne valeva la pena, al di là di ogni dibattito sulla natura dell'operazione.
Gianni Maroccolo, lo sappiamo, è sempre stato artista poliedrico e incline alle collaborazioni, indipendentemente da generi e influenze. Con Edda si erano incontrati in occasione del primo volume di “Alone” e il sodalizio deve avere dato buoni frutti se si è deciso di portarlo avanti su così larga scala. Dopotutto sia il bassista e produttore toscano sia l'ex Ritmo Tribale sono parte di quella generazione che rese grande il rock italiano tra la seconda metà degli anni ‘80 e i primi anni ‘90, un periodo che è stato forse una parentesi e che non ha trasmesso un grande lascito ma che non smette giustamente di essere celebrato.
Rispetto ai trascorsi coi Deproducers e alla saga di “Alone”, questo “Noio; volevam suonar” risulta molto più spartano e lineare. Maroccolo ci ha messo il basso e una spruzzata di elettronica, Edda ha aggiunto le chitarre e la voce. Tutto qui. Un disco rock come se ne facevano una volta, senza troppe stratificazioni, semplice da fruire nonostante Il minutaggio corposo, ma allo stesso tempo privo di una chiave di accesso definita e di un baricentro stabile. Questo perché è il risultato di un libero fluire di idee e pensieri (ben riassunto dal divertente scambio di note vocali incorporate in apertura) con Marok a fornire gli spunti iniziali ed Edda a trasformare il tutto con le sue linee vocali e coi suoi testi a flusso di coscienza, talvolta deliranti ma non privi di argute osservazioni (poi che cosa voglia dire quando dice: “sono il brigatista dell'amore” è una questione che esula dalle mie possibilità). La voce del cantante è senza dubbio il più importante marchio identitario di questo lavoro, perché alla fin fine i brani, tutti piuttosto vari e alcuni con una struttura non del tutto allineata sulla forma canzone, sono plasmati dalla personalità del cantante, al punto che certi rimandi ai suoi ultimi dischi solisti appaiono inevitabili.
Non si grida mai al miracolo ma il livello è buono, con alcuni picchi interessanti e senza cali di tensione, nonostante ci siano dei momenti dispersivi all’interno delle singole canzoni.
“Maranza” si apre su un tappeto elettronico e cassa dritta, con un ritornello che spinge tantissimo e che dà in pratica quella che è la fotografia migliore del lavoro. Funziona bene anche la successiva “Servi dei servi”, che ha un piglio molto rock ed è una di quelle più immediate, non a caso è stata scelta come singolo apripista. Bella anche “Noio”, dove protagonista è il basso distorto di Maroccolo ma dove è il ritmo generale a renderla irresistibile. “Bebigionson” è invece quasi uno standard ma ha un feeling divertente che fotografa bene l'atmosfera di rilassatezza che deve essersi respirata durante le session di lavorazione.
Se gli episodi più quadrati funzionano bene, altrettanto si può dire di quelli maggiormente sperimentali, dove Maroccolo ha lavorato di più sulla produzione e sulla ricerca sonora: è il caso di “Stai zitta”, che gioca con gli effetti creando un'atmosfera che ha più di una reminiscenza con quelle di “Alone” ma dove è comunque il basso ad essere in primo piano, assieme ad un cantato dal sapore etereo. Poi c’è “Mantrino”, dalle suggestioni orientali e vagamente psichedeliche, dove le melodie riprendono la tradizione Hare Krishna a cui Edda è da tempo legato.
“Castelli di sabbia” conclude la scaletta proseguendo sul mood della precedente, lasciando una scia ipnotica e ammaliante, con largo utilizzo di riverberi ed un finale dove entra un pianoforte molto suggestivo.
Ci sono poi dei brani che si muovono su sonorità acustiche, sfociando talora nel territorio delle ballad: oltre all'ottima rilettura di “Sognando” di Don Backy, già presente sull'ultimo capitolo di “Alone” ma qui in versione differente, cantata dal solo
Edda, molto intense risultano “Esce il sangue dalla neve” e “Madonnina”, con la palma della migliore in questo lotto affidata senza dubbio ad “Achille Lauro”, con chitarra e basso arpeggiati, che si sviluppa su un crescendo molto efficace.
È una bella risposta a questi mesi difficili, “Noio; volevam suonar”: uscire dal lockdown lasciando fluire libera la propria creatività e facendone dono a chiunque abbia voglia di sintonizzarsi. A prescindere dall’esito, è un gesto che non possiamo fare a meno di ammirare.