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REVIEWSLE RECENSIONI
06/03/2024
Ros Gos
No Place
Il terzo disco in studio di Ros Gos, alias Maurizio Vaiani, affresco esistenziale che coagula ombre e luci, speranza, disperazione e malinconia, new wave, post punk e alt rock.

Ros Gos, al secolo Maurizio Vaiani, è un poeta dell’anima, un musicista sensibile, colto e profondo, che non ha paura di viaggiare attraverso il suo immaginario sonoro, per scandagliare con coraggio le trame, spesso aggrovigliate, dell’esistenza umana, e osservare, con lucidità ed empatia, il destino del mondo che lo circonda in questi anni bui, in cui l’amore vive un impari battaglia contro l’odio, il dolore, la guerra, e una violenza sempre più ramificata. Da quattro anni, da quando cioè ha iniziato la sua carriera solista, Ros Gos ha raccontato lo smarrimento dell’umanità persa nei viluppi di un post folk desertico (Lost In The Desert) e ci ha guidato, malinconico Virgilio, nello sprofondo dell’inferno dantesco, vivida metafora di una società alla deriva, abisso etico di un mondo senza speranza (Circles).

Ha viaggiato, Ros Gos, con i suoi occhi bene aperti, lo sguardo appassionato e indagatore, appena velato di lacrime, il cuore in tumulto, affabulatore e crooner di spazi aperti e claustrofobici anfratti. Ed è arrivato qui, in un luogo che non esiste, dove l’umanità vive sospesa, tra luci e ombre, tra nichilismo e dolore, tra speranze spesso frustrate e una straziante necessità di redenzione, di pace.

 

No Place è, dunque, un punto di arrivo, l’approdo di un cammino che vede Ros Gos evolversi senza, fortunatamente, cambiare troppo, sempre più consapevole dei propri mezzi, delle proprie intuizione melodiche, supportate, ancora una volta, dall’ottima produzione di Marco Torriani, il cui tocco sapiente, cesella mirabilmente ogni singola canzone, cercando l’equilibrio tra il buio che ghermisce l’anima e i barbagli di tiepido sole, che riscalda ed evoca serenità.

Il risultato è ancor più sorprendente che nei precedenti lavori: il mood malinconico che attraversa il disco, quelle brume meditabonde che da sempre caratterizzano la scrittura del musicista lombardo, non sono mai state così accessibili, pur senza imboccare la strada del compromesso, dell’esposizione semplicista, della scelta condiscendente. E così, No Place suona benissimo, emoziona senza artifici, conquista con la semplicità di melodie accattivanti, ma mai piacione, suscita palpiti senza mai ricorrere al ricatto della lacrima facile.

 

Ros Gos plasma e fa convivere, in un suono personalissimo, tutto il suo retroterra musicale, gli ascolti amati da una vita, gli eroi perdenti e maledetti degli anni’90, la new wave e il post punk con cui è cresciuta un’intera generazione, quella che era giovane e piena di speranza nei tanto vituperati anni ’80.

Ciò che ne deriva è un disco che, seppur coerente e coeso nei suoni, si sviluppa in modo vario e fascinoso, in un’altalena emotiva di dieci canzoni, tutte necessarie, tutte egualmente accattivanti. Un viaggio nel viaggio, a partire dall’incipit di "My Cure" (ritmica arcigna sottostante un tessuto malinconico di cupa new wave), che si sviluppa in un percorso di elettriche fluorescenze dream pop ("Doll"), nell’infuocato noise di "Unexpressed Love", tenebroso crocevia della morte fra Mark Lanegan e Iggy Pop, nelle extrasistole anfetaminiche a là Radiohead della title track, nella soavità vellutata "The Slide" (con quello splendido arpeggio che ricorda "Thirteen" dei Big Star) e nella chiosa fragile, sospesa ed emotivamente disarmante di "I Still Need You". Un finale che sa di accettazione e pacificazione, di ritrovata pace, di luce, nonostante tutto il male che ci circonda.