Dopo “My Generation”, “Blank Generation” e “X Generation” ecco “No Generation”, una centrifuga hard rock di frustrazioni tardo-adolescenziali (“All Hail”) che si sfogano in desideri di fuga, ribellione, espressione di sé come nella migliore tradizione di Alice Cooper.
Uno stoner trapiantato nel chiasso di una città motorizzata che è lo sfondo continuo di ogni canzone (“Can You Hear Me”, “She Gets Around”): chitarre in scale minori discendenti come insegnava Josh Homme (“White Angel”), voci che sussurrano là dove nascono i fantasmi, distorsioni torride (“Witch and the Star”) in zona Fu Manchu ma anche il buonsenso di non esagerare nelle maratone strumentali e di non mettere poi troppa carne al fuoco.
I Lions escono dalla stessa Austin dei Black Angels, rinforzando ancora di più l’idea che il Texas sia sempre stata la vera patria della psichedelia più truce, dai 13th Floor Elevators ai Josefus (“Get Out Alive”, oltre 6 minuti di ballatona drammatica e spettrale). Quest’attitudine alla chitarra pesante, alla ritmica serrata e rombante, unita alle visioni da gioventù tormentata, costantemente alla ricerca di un “segno”, ha assicurato al gruppo un posto d’onore nella soundtrack della prima stagione di Sons of Anrchy (4 pezzi: “Machine”, “No Generation”, “All Hail”, “Evil Eye” ) al fianco di BRMC e Black Keys; anche Matt Drenik e Austin Kalman hanno potuto così mischiarsi e immischiarsi nelle tortuose vicende dei bikers di Charming alle prese con una difficile successione al trono del primo charter del club. Una scelta azzeccata che dona alla serie un roboante sound rock e concede alla band uno stato quasi di “culto”.